Palagonia ancora una volta protagonista delle udienze del processo Iblis sulle presunte collusioni tra politica, imprenditoria e mafia a Catania e provincia. Con i suoi appalti, i lavori pubblici e i suoi ex amministratori imputati. Un argomento caldo, perché a testimoniare oggi è stato Angelo Brunetti, titolare della Sicilsaldo, la stessa ditta che in questi mesi ha ottenuto il pignoramento delle casse del Comune palagonese, mettendo in ginocchio la nuova amministrazione. Un racconto che oscura anche la presenza in aula del geologo-uomo d’onore, secondo l’accusa, Giovanni Barbagallo, che si avvale della facoltà di non rispondere. La vicenda Sicilsaldo risale al 1999 ma oggi è più attuale che mai e non solo per il contenzioso economico in corso. Ad essere indagati oggi in aula sono stati infatti i rapporti dell’azienda con Cosa Nostra. Un legame attivo tanto da sfociare nel favoreggiamento, secondo i legali di alcuni degli imputati. Semplice vittima di estorsioni e quindi persona offesa secondo la procura etnea e la difesa di Brunetti. Un passaggio tecnico importante per procedere alla testimonianza – che sarebbe anche potuta saltare o rivelarsi deficitaria di riscontri – e che si è conclusa a favore dei magistrati.
La ditta di Brunetti, la Sicilsaldo, ha effettuato negli anni diversi lavori a Palagonia. Prima la rete idrica, nel 1999, oggi al centro del contenzioso economico con il Comune. Un’opera del valore di «tre o sette milioni di vecchie lire, non ricordo», spiega Brunetti. Poi una via di fuga «da un paio di milioni di euro» e il metanodotto. Tre lavori pubblici con i quali arrivano puntuali pressioni. «Fin dal primo lavoro, quello dell’acquedotto, il sindaco Salvino Fagone mi aveva detto che dovevo rivolgermi a ditte e personale del luogo, anche se noi avevamo tutte le attrezzature», racconta il testimone. E precisamente a Francesco Ferraro soprannominato Ciccio Vampa, Franco Costanzo detto Pagnotta, Giovanni Buscemi e Massimo Oliva. Imputati in questo processo gli ultimi due, condannato con il rito abbreviato Costanzo – a 20 anni per associazione mafiosa -, già sorvegliato speciale Ferraro. «A loro ho subappaltato parte dei lavori – continua Brunetti – Fino a quando da Pagnotta non mi è arrivata una fattura da 200 e rotti milioni di lire». Un extra su un lavoro già pagato. «Non aveva diritto a niente ma, dopo una discussione, abbiamo chiuso a 50 milioni. Ho pagato per evitare problemi».
Per lo stesso motivo, Brunetti consegnerà più avanti altri 60mila euro – anziché i 100mila richiesti – ad Alfio Mirabile, esponente dei Santapaola e nipote del boss Giuseppe Mirabile, da poco collaboratore di giustizia, atteso in aula alle prossime udienze del processo Iblis. Una classica messa a posto dovuta dalle imprese a Cosa nostra per evitare problemi e ritorsioni. Eppure, per Brunetti, non finisce qui. Per qualche motivo, al clan Santapaola, non tornano i conti. Soprattutto quelli dei suoi regali, com’è chiamato il pizzo nel gergo criminale. Per questo, qualche tempo dopo, sono due big di Cosa Nostra etnea a chiedere di conoscere Brunetti di persona. Anche tramite Rosario Di Dio, ritenuto dai magistrati il boss della zona, e Antonino Sangiorgi, ex assessore del Comune di Palagonia, condannato a dieci anni per concorso esterno con il rito abbreviato. La prima richiesta di incontro arriva da Angelo Santapaola, ucciso nel 2007 per un regolamento di conti interno, «uno tutto nervoso, tutto schizzinoso – racconta Brunetti – e con dei modi diciamo poco eleganti». E poi da Enzo Aiello, ritenuto dai magistrati il braccio destro del presunto reggente del clan Vincenzo Santapaola ed entrambi imputati nello stesso processo, «una persona con un modo più tranquillo… Un po’ balbuziente». Entrambi, secondo i racconti dell’uomo, gli chiederanno quando, quanto e a chi avrebbe pagato.
Estorsioni che, secondo la procura, mostrerebbero il legame perverso tra imprese, Cosa Nostra e gli amministratori locali. Ma che non vedrebbero in Brunetti una vittima, secondo i legali degli imputati. C’è chi mostra una foto del testimone a una cerimonia di famiglia a casa di Buscemi e chi ricorda come la moglie di Brunetti, proprietaria di una cantina vinicola, abbia fatto affari vendendo il proprio vino nel bar del distributore di benzina di Di Dio. Tra luci e ombre sui testimoni, l’udienza procede con i «non saprei» di Benito Borrella, imprenditore con interessi a Palagonia, e le reticenze di Giuseppe Formaggio, classe ’34, titolare di un impresa che nel territorio palagonese ha svolto diversi lavori. Come le lampade votive al cimitero e l’illuminazione nelle feste. «Iu soddi non ci n’ha ratu a nuddu», esordisce il testimone. «Perché qualcuno glieli ha chiesti?», chiede il pm Agata Santonocito. «No». Eppure, dalle intercettazioni tra Formaggio e Sangiorgi, emergono strani scambi e un innominato «iddu». L’allora sindaco di Palagonia Fausto Fagone secondo i magistrati. Che però Formaggio, nonostante altri riscontri, nega di conoscere. «Basta, è inutile perdere tempo – taglia corto Santanocito – Chiedo al tribunale di procedere nei confronti del testimone per falsa testimonianza».
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