Ad ogni «Non so», «Se non ricordo male», «Ritengo di sì», «Se non sbaglio», il borbottio degli imputati si fa sempre più fitto. «Ci sono duemila famiglie che non stanno lavorando per tutto questo?», commentano. Gli avvocati si guardano tra di loro inespressivi. Ma, nelle pause, i loro commenti vanno nella stessa direzione. Non comincia nel migliore dei modi per la Procura etnea – al netto di assi nella manica – il controesame di uno dei testimoni di punta del processo Iblis, il maggiore – nel frattempo diventato colonnello – dei Ros etnei Lucio Arcidiacono. Ore di racconti e una decina di udienze sembrano per lo più squagliarsi davanti alle domande dei legali difensori dei politici e imprenditori accusati di collusioni con la criminalità organizzata del Catanese. A condurre il proprio controesame, nell’udienza di oggi, sono tra gli altri i legali dei due politici coinvolti nel processo: Fausto Fagone, in passato deputato regionale e sindaco di Palagonia, e Giuseppe Tomasello, ex assessore alle Attività produttive del Comune di Ramacca.
Tocca a Carmelo Peluso, difensore di Fagone, scavare per primo tra le indagini dei Carabinieri etnei alla ricerca di eventuali falle o deboli riscontri ai racconti del maggiore. E il legale non ci mette troppo tempo. Il primo limite, valido anche per Tomasello, lo ammette lo stesso colonnello: «Per ovvi motivi, durante le indagini non abbiamo potuto compiere accertamenti nei Comuni». In quello di Palagonia come in quello di Ramacca. Una questione di riservatezza che adesso però fa emergere tutti i limiti del caso: l’impossibilità di provare che un politico abbia favorito esponenti mafiosi attraverso il suo lavoro, considerata l’assenza di questi atti – o meglio la loro stessa ricerca – è la tesi di fondo della difesa.
Così le vicende degli immobili comunali dati in concessione gratuita a privati vengono liquidati in poche parole. Lo spazio concesso a Sara Conti – nipote di Calogero Conti, detto Zu Liddu, considerato lo storico boss di Cosa Nostra nel territorio di Ramacca – per la sua attività di sostegno ai minori disagiati. Ma anche il sito archeologico Coste di Santa Febronia concesso ai coniugi Brancato – suoceri di Alfonso Fiammetta, condannato in primo grado a 11 anni e quattro mesi per associazione mafiosa nel filone abbreviato di Iblis – e utilizzato per la realizzazione di una pizzeria. «Sa se la locazione di immobili comunali a prezzi irrisori era una linea del Comune di Palagonia sotto la sindacatura Fagone? Sa quanto pagano i Carabinieri per la loro caserma?», chiede il legale. Ma, senza accesso agli atti del Comune, è impossibile rispondere per il colonnello.
Allo stesso modo, non c’è traccia nelle indagini dei Carabinieri di un documento che conferisca a Giovanni Barbagallo – condannato a quasi dieci anni per associazione mafiosa e considerato il tramite tra la mafia e i fratelli politici Raffaele e Angelo Lombardo – la consulenza da lui raccontata durante un’intercettazione. «Oltre alla foto del bacio tra Fagone e Rosario Di Dio (secondo i magistrati, il nuovo boss del Calatino), sono stati documentati altri incontri tra i due?», chiede Peluso. «No». «Pure Giulio Andreotti (con il boss Totò Riina secondo i racconti di un pentito, ndr), ma non è bastato», commenta a mezza voce un avvocato.
Tra un controesame e l’altro, si arriva al turno dell’altro uomo politico del processo con rito ordinario Iblis: Giuseppe Tomasello, due volte assessore alle Attività produttive del Comune di Ramacca dal 2007 al 2009, con un vuoto di alcuni mesi. «Serviva a Cosa nostra come tramite per ottenere in Comune le autorizzazioni necessarie alla cooperativa Enotria per la costruzione di una serie di villette a Ramacca», spiegava il colonnello Arcidiacono ai magistrati nelle scorse udienze. Eppure, come a Palagonia, anche in questo caso i Carabinieri non hanno potuto procedere con gli accertamenti in Comune alla ricerca di documenti che provassero gli eventuali favori di Tomasello. «Ma lo dicono gli intercettati», spiega il colonnello. «Quando?», incalza il legale. «Al momento non riesco a trovare il riferimento preciso», ammette Arcidiacono, di solito estremamente preciso.
I botta e risposta proseguono, tra qualche «Non so» e i molti «Se non sbaglio» del militare. «Ho diritto a un sì o un no preciso?», si altera l’avvocato Francesco Strano Tagliareni. Che continua: «Con quali elementi dice che Tomasello era pienamente inserito nel contesto mafioso?». La risposta di Arcidiacono segna forse uno dei pochi punti a favore della procura etnea dell’udienza di oggi: «In un’intercettazione, Enzo Aiello (ritenuto il capo provinciale di Cosa nostra etnea, ndr) rimprovera Pasquale Oliva (cognato e co-imputato di Tomasello), alla presenza di Tomasello, per quella che lui stesso definisce “un’estorsione” a Francesco Alampo – spiega il colonnello – Ma in quella occasione si è parlato anche di altri argomenti, come di Giuseppe Ercolano e di progetti mafiosi. Sono temi che non credo Aiello avrebbe trattato davanti a chiunque».
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