Se solo la vita fosse più bella

Quando il silenzio sceglie di farsi voce è perché nell’aria qualcosa pizzica i nostri sensi, stuzzica il nostro appetito, scioglie le nostre riserve. È splendido piangere per un libro, tremare per una melodia, perdersi nell’intensità di un colore per poi ritrovarsi nel rigore di una linea, fremere per un scena vista in un film, mordersi ?le labbra per assaporare anche l’ultima goccia di quel bacio appassionato, non lavarsi per giorni quella mano che ha stretto colui che ammiriamo.

Piccoli, semplici gesti privi di prezzo pieni di senso, grazie ad essi è meraviglioso constatare che i nostri sensi stanno solo trattenendo il fiato, grazie al cielo non sono morti asfissiati? dalla nostra artificiale propensione per tutto ciò che si può comprare. Prima di lasciarsi nuovamente travolgere dall’immensa violenza che questa assurda apnea richiede alla nostra sofferta esistenza, assaporiamo l’aria fresca appena respirata, affiniamo l’udito, aguzziamo la vista, solo immagazzinando la ricezione e ?trattenendo la percezione riusciamo a ritagliarci questi piccoli spazi verdi: metri quadri rubati al monolocale in cui trascorre la nostra vita piatta, grigia, brutta.

Stocchiamo emozioni perché forse siamo consapevoli di non potercele più permettere, sono lussi esosi, superflui passatempi d’altri tempi, inutili vezzi che rischiano di travolgerci lasciandoci indietro in questa vita svuotata di senso e riempita di oggetti, tutte cose che non possiamo più contenere e che finiscono per contenerci, zavorre che ci trascinano verso l’abisso oceanico, ali di cera che ci impediscono di spiccare il volo, barche a vela in un mare senza vento che ci proibisce di prendere il largo.

Vorrei camminare per Vienna con Freud, prendere lezioni di letteratura inglese con Tomasi di Lampedusa, assistere ad un happening nella Factory di Warhol, imbrattare i muri di New York con Basquiat, ascoltare Calvino dare corpo alle sue città invisibili seduti su un ramo dell’elce ove si è rifugiato Cosimo, essere la farfalla che batte le ali della poesia di Joseph Brodsky, servire il caffè a Pasolini e a Orson Welles mentre girano “La Ricotta”, essere Dora Maar che fotografa Picasso. Insomma vorrei che ci fossero più maestri da ammirare, ideali da seguire, libri da leggere, poesie da scrivere, uomini da salvare, donne da riscattare e bambini da entusiasmare.

Vorrei che il mondo fosse diverso, che l’unica guerra da combattere fosse quella contro l’ignoranza che ci rende capaci dei gesti più atroci, vorrei che il mondo fosse più bello, di quella bellezza che non ha prezzo che risiede nelle parole, che si materializza in un quadro, che scivola nella musica e si afferma nel pensiero di coloro che la leggono, guardano, citano, imitano, deplorano, implorano.

Sono una donna d’altri tempi direte voi… forse lo sono… o forse questa morte apparente della cultura mi fa star peggio del mio portafoglio vuoto, delle mie scarpe bucate, delle mie ambizioni soffocate, poiché tutto quello che mi ha fatto sopravvivere finora, a parte l’amore dei miei cari, sono i libri che ho letto, i quadri che ho ammirato, le sculture che ho attraversato, i film che ho assaporato, la voce dei maestri che ho avuto la fortuna di ascoltare, le tante teorie che ho condiviso e le altre che non mi hanno convinto… insomma, per finire cari amici se la vecchiaia è uno stato cronico irreversibile, credo fermamente che l’ignoranza sia un letargo endogeno reversibile che aspetta solo una nuova primavera, se la libertà non ha prezzo, la schiavitù ha almeno sei zeri… arrestate l’avanzata del nemico e sfamate le vostre anime del divino cibo che sazia corpo e intelletto, vedrete come improvvisamente tutto avrà più senso.

Barbara Morana

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