Quando si parla di musica rock in Italia spesso si è costretti a far fronte ad alcuni quesiti necessari: “Esiste il rock in Italia, o meglio, ha una vita propria che non sia legata ai nomi di Vasco Rossi e Ligabue?” Se dovessimo basarci su quello che radio e canali musicali trasmettono sotto la definizione di rock, dovremmo allora preparare le lapidi sotto cui seppellire gli insegnamenti che, da Elvis in poi, i nostri cugini americani ed inglesi ci hanno impartito. Ma se invece attuassimo una piccola rivoluzione armandoci di sana curiosità musicale, scopriremmo che in Italia il rock non è invisibile. Esistono rock band come i Ministri, per esempio, trio milanese che con il nuovo lavoro “Tempi bui” si sta imponendo nel panorama nazionale: i testi militanti e taglienti, la geniale provocazione di inserire una moneta vera da un euro nella cover del loro primo album “I soldi sono finiti” datato 2006 allo scopo di “sensibilizzare” i consumatori, ed una buona dose di chitarre, fanno di questo trio (Federico Dragogna chitarra-voce, Davide Autelitano basso-voce e Michele Esposito batteria) una delle realtà più interessanti del nostro paese.
Conosciamoli meglio in questa intervista con Federico Dragogna.
Partiamo dal vostro ultimo album “Tempi bui”, siete soddisfatti di come sta andando?
“Purtroppo il meccanismo discografico attuale fa sì che sia difficile parlare di come va l’album. Piuttosto si può dire che ‘andiamo molto’ noi nel senso di andare su e giù per le autostrade della penisola. E questo è bene. Uno degli effetti collaterali è che rispondiamo alle interviste con mesi di ritardo“.
Il vostro approccio alla musica è sempre sembrato più cantautoriale che da tipica rock band soprattutto per i temi trattati, pensate che ultimamente si tenda a sottovalutare l’importanza delle parole?
“Le parole stanno tornando prepotentemente in prima linea. Tra le molte pessime abitudini a cui social network et similaria stanno portando ce n’è una buona invece, il fatto indiscutibile che la gente è tornata a scrivere. Anche solo per buttar giù le tre righe del proprio status su Facebook, ognuno riflette sul proprio modo di rappresentarsi con le parole. E questa nuova ondata di pennaioli ha bisogno di testi da prendere in prestito, ha bisogno di confrontarsi e di incrociare stili già formati. Ed eccoci qua, noi come Dente, Vasco Brondi e tutti quelli che le parole le pesano col bilancino degli spacciatori“.
Siete riusciti a darvi una spiegazione al fatto che oggi in alcuni casi, e non uso il termine “alcuni” casualmente, i nomi non contano niente?
“Prima ci hanno tolto la possibilità di urlare ‘Forza Italia’ durante una partita della nazionale, poi addirittura hanno messo le mani sulla parola libertà che, quand’ero piccolo, ricordo aveva una potenza non indifferente. La spiegazione è nel fatto che anche i grandi sistemi ideologici del Novecento sono crollati, la gente ha ancora bisogno di grandi parole di riferimento, anche quando non vogliono dire nulla. C’è da dire per altro che quel ritornello che citi (“ e mi cambierò nome, ora che i nomi non valgono niente” dalla canzone ‘Tempi bui’ ndr) nacque dopo aver partecipato a una festa dell’Unità diventata Festa del Pd. Anni e anni di salamelle, ricordi, balli, vecchietti che davvero avevano combattuto prima e fatto la fame poi, tutto questo cancellato da un giorno all’altro da un leader discutibile, un logo pure, ed un uso della parola democratico simile al ‘libertà’ di cui sopra“.
Il vostro passaggio da un’etichetta indipendente ad una major (Universal) non vi ha arricchiti. Perché avete deciso di fare questo “salto di qualità” allora? Credo che avere i passaggi assicurati dei vostri video su trl, suppongo non sia una vostra priorità…
“Si erano fatte avanti due major ma nessuna etichetta indipendente. Noi i soldi li avevamo davvero finiti, quindi o così… Per altro la nostra esperienza col circuito indipendente ci aveva lasciato con l’amaro in bocca. Per inciso il termine ‘indipendente’ nel mondo del far musica è un altro di quei nomi che non valgono niente: indipendente da chi, da cosa? Da chi ti ascolta? Indipendente dalla tua famiglia? Indipendente dall’altro lavoro che fai per riuscire a pagarti due giorni in uno studio di registrazione? La musica indipendente in Italia è dipendente. Cominciare a dirselo sarebbe un buon modo per affrontare i problemi e piantarla con questo piglio da rivoluzione francese che viene fuori ogni volta che viene detto indipendente“.
In “Bevo” ironizzate su uno spaccato della società che riempie ogni giorno intere pagine di giornali, qual è il vostro punto di vista su questa famigerata “decadenza giovanile” di cui tutti ormai sembrano farsi portavoce?
“Noi beviamo per cominciare. A volte molto, a volte il giusto, a volte succhi di frutta. Esistono paesi nei quali divieti ben più severi dei nostri sembrano assolutamente sensati: dipende dal fatto che in quei Paesi i governi sono strutture credibili, fallibili ma non marce. Tanto ti danno, tanto li rispetti. E ricevi altrettanto rispetto una volta che sei adulto. Da noi la demonizzazione del bere parte da una destra che delle destre europee non ha nulla: la nostra destra è un’accozzaglia di mafiosetti, maestrine represse, mafiosotti avvinazzati, contadini incattiviti, yuppie fuori tempo massimo, poliziotti repressi, secchioni incattiviti, mafiosi. Da gente cosi anche il divieto di calpestare le aiuole diventa poco credibile. Più in generale, la guerra che l’uomo ha intrapreso contro le sostanze da cui è attirato, contro le sostanze che rendono la sua vita più divertente o sopportabile, è una guerra che ha bisogno di basi più solide che un elenco sulle proprietà benefiche del tè verde“.
Perché avete deciso di adottare queste giacche stravaganti come peculiarità della vostra immagine? C’è un motivo specifico dietro questa scelta?
“Io colleziono giacche idiote da sempre. Un giorno ne abbiamo trovato tre uguali ad un mercatino e le abbiamo prese, pensando che prima o poi ci sarebbero potute tornare utili. Poi, al MEI del 2006 (Festival della produzione musicale e culturale indipendente italiana ndr) le abbiamo tirate fuori dall’armadio e ce le siamo messe addosso per suonare, cosi per fare un po’ di colore. La reazione della gente fu tale, che da allora non ce le siamo più tolte. E tutte le ferite e le cicatrici che stiamo accumulando in questi anni se le prendono loro come armature (e infatti pesano poco meno)“.
La scelta del nome “Ministri” ha una sottile ironia dietro?
“L’esiguo seguito che avevamo a Milano attorno al 2004, aveva cominciato a chiamarci ministri per evitare di dire ogni volta ministro del tempo, il nostro primo nome. Quindi anche in questo caso nessuna scelta, nessuna grande costruzione dietro. A parte le canzoni e i dischi nella loro interezza, tutto il resto lo facciamo con gli avanzi che ci sono in frigo. Che, com’è noto, danno spesso luogo a ricette sopraffine“.
Riassumeteci in un concetto,lo scopo della vostra musica…
“Semplificando al massimo, dire le cose. Il che dovrebbe portare qualcun altro a farle“.
Avete affermato che si vuole trasformare la vostra città, Milano, in una città-dormitorio. Se è per questo, da anni qualcuno tenta di trasformare la Sicilia in un cimitero; come pensate si possa reagire?
“L’Italia di oggi è fatta (male) per i vecchi e per i bambini. Se i nostri calcoli sono giusti, i primi dovrebbero morir tra poco, i secondi dovrebbero venir su in fretta. Quindi vale la pena di continuare a sperare ancora per un po’, e vedere cosa succede, sgomitando per non perdere quei quattro miseri avamposti ottenuti negli ultimi quarant’anni”.
Come vedete il futuro di questo paese considerando che i tempi sono bui un po’ per tutti?
“Speriamo in un golpe dei cinesi“.
Forse in Italia è proprio giunto il momento di lasciar spazio a nuovi ministri.
I ministri saranno in concerto venerdì 4 Settembre 2009 alle 22 al Barbarabeach (c/o Lido Jolly – Viale Presidente Kennedy, 85). Ingresso 10 euro.
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