I siciliani e la Resistenza: soldati, preti e partigiani «Storie da difendere per tenerci stretta la libertà»

Partigiani, militari, preti. Il contributo della Sicilia alla Resistenza passa da migliaia di storie. Diverse nell’intimità dei vissuti dei protagonisti, simili nell’impegno che accomunò quanti – pur trovandosi a centinaia e migliaia di chilometri da casa – lottarono per la liberazione dal nazifascismo. Perché, a dispetto di ciò che spesso si dice a proposito della Resistenza, ovvero che fu un fenomeno che interessò pressoché solo la parte centro-settentrionale dell’Italia, i numeri restituiscono un’immagine diversa. Anche per motivi che, in qualche modo, ricordano l’attualità. «In quegli anni così come ora – ricorda Angelo Sicilia, presidente dell’Archivio siciliano delle resistenze – erano tante le persone che per motivi di opportunità avevano lasciato l’Isola per cercare fortuna al Nord, e che, scoppiato il conflitto, rimasero a combattere».

Presenze siciliane si trovano in qualsiasi componente dell’area che, tra ’43 e 45′, si oppose prima al regime nazi-fascista e poi, dopo la caduta, rifiutò di aderire alla Repubblica sociale italiana. «Siciliano era il dieci per cento della divisione Acqui che contrastò i tedeschi – continua Sicilia -. Ma anche tanti furono quelli che entrarono nel corpo italiano di liberazione che affiancò gli Alleati fino al ’44, mentre ben 60mila isolani finirono per essere classificati come Imi, gli internati militari italiani. Persone – spiega – alle quali non venne riconosciuto lo status di prigionierio di guerra, finendo per essere usati come veri e propri schiavi, obbligati a lavorare per Hitler, come risposta alla decisione di non arruolarsi con i tedeschi o i repubblichini».

Tra le folle che animarono la guerra, spiccano diverse vicende personali che, per un motivo o per l’altro, sono rimaste esemplari. Testimonianze vive, che nel loro piccolo hanno inciso nello sviluppo della storia. Quella con la s maiuscola. «Perché alla fine capita che siano i piccoli avvenimenti a segnare il futuro dei fatti più grandi – continua lo studioso -. Mi viene da pensare alla vicenda di Vito Musso, ventenne che dopo l’armistizio di Cassibile, l’8 settembre del ’43, si trova nei territori della Iugoslavia dove entra a far parte della divisione Italia, che affiancava i partigiani di Tito. Un giorno – rivela Sicilia – proprio Musso si trova a soccorrere quello che all’apparenza pareva un soldato tra tanti. Lo porta sulle spalle, dividendo l’impegno con un altro soldato siciliano, mentre le truppe tedesche sparano contro di lui». Un accanimento la cui origine venne spiegata soltanto a pericolo scampato. «Musso, che dopo la guerra diverrà segretario del Pci di Carini, aveva salvato la vita a Tito in persona», aggiunge il presidente dell’Archivio.

A essere protagonista di un impegno in prima linea, però, non furono soltanto figure vicine alla sinistra. Un caso su tutti è quello di Gaspare Morello, originario di Mazara del Vallo e unico sacerdote a ricevere l’incarico di guidare il comitato di liberazione nazionale costituitosi a Fermo. «Don Morello svolse il suo ruolo costruendo una resistenza che poggiava sulla rete che conosceva meglio, quella delle parrocchie», commenta Sicilia. Altri due che vengono ricordati per il proprio impegno antifascista unito a una vicinanza al mondo cattolico sono i fratelli Antonio e Alfredo Di Dio. «Facevano parte delle brigate Fiamme verdi, gruppi di orientamento cattolico ed entrambi lasciarono un segno nel loro impegno. Al punto che ad Alfredo – sottolinea lo studioso – è stato intitolato un museo del partigiano a Ornavasso, in Piemonte».

Venne conosciuto e poi ricordato con il nome Fortunello, il lentinese Luigi Briganti. Specializzato in travestimenti utili a evitare più di una volta i posti di blocco nazifascisti, il nome di battaglia è motivato anche dall’esperienza avuta davanti al plotone di esecuzione. Convinto di essere vicino alla morte, in concomitanza con il grido di «Viva l’Italia», venne salvato dai partigiani che spararono addosso ai nemici. «Sono soltanto alcuni esempi, ma vanno ricordati – afferma Sicilia -. Non si tratta di memoria come semplice commemorazione, ma di riappropriarsi di pezzi di storia fondamentali per capire il sacrificio fatto da nostri conterranei per conquistare la libertà. Un concetto che – conclude – unito a quello di democrazia e considerato il ritorno di certe posizioni xenofobe, dovrebbe essere rispolverato e difeso. Da partigiani».

Simone Olivelli

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