I partiti italiani cambino leadership

Il terremoto elettorale di questi giorni ha posto un tema urgente al quale, tuttavia, i leader politici sembrano sfuggire. Mi riferisco alla urgente necessità di un rapido cambio delle leadership dei partiti che in questi anni hanno occupato la scena nazionale e locale. Non sono, infatti, i partiti in crisi: in crisi sono invece le leadership, screditate per essere coinvolte, direttamente o indirettamente, in scandali di vario genere.

Emblematici i casi di Berlusconi e di Bossi e dei loro caravan serraglio. O, per manifesta incapacità di offrire una guida coerente e delle opzioni credibili, è il caso del segretario del partito democratico, Bersani, che ha registrato sconfitte su sconfitte, fra le quali, altrettanto emblematica, quella di Palermo. E’ un passo indietro, quello che gli attuali leader devono fare. La gente, l’opinione pubblica, oggi percorsa da pericolose tentazioni giacobine, non si accontenta più di piccoli aggiustamenti e pretende, addirittura, che rotolino le teste.

Questo stesso discorso lo fanno perfino i militanti, quelli che con passione, fra grandi difficoltà, costruiscono il consenso sul territorio, che ora si trovano a pagare gli errori dei loro capi. Ma ricordiamoci anche che il tempo presente non accetta più temporeggiatori, non sopporta più aggiustamenti che non aggrediscano alla radice il male. E’ sforzo inutile girarci attorno nell’attesa che il clima possa mutare. La gente non aspetta e pretende il cambiamento: un cambiamento in stili comportamentali, con lo smantellamento di quelli che vengono considerati odiosi privilegi inaccettabili in tempi di crisi, ma anche e soprattutto il cambiamento come personale politico.

La gente chiede nuove leadership, capaci di interpretare il disagio sociale e di elaborare proposte politiche lontane dai copioni consueti a cui siamo stati abituati. Pretende facce nuove, da non confondere, come qualcuno ha cercato di accreditare, con facce giovani, che sono pur importanti, ma da sole insufficienti. Facce nuove significa gente che non si sia prima d’ora mai cimentata con la politica, che non sia stata impegnata in compiti istituzionali o di rappresentanza. Non si possono, infatti, considerare “nuovi” giovani che hanno alle loro spalle una presenza ventennale nelle istituzioni.

Cito, ad esempio, il caso di Angelino Alfano che, pur essendo quarantenne, ha trascorso in parlamento quasi la metà dei suoi anni. Ma, gente nuova che sia portatrice di proposte serie. E che, soprattutto, si faccia percepire come espressione dell’anticasta.. Dell’incapacità di farsi percepire come tale nella recente competizione elettorale a Palermo ha fatto, ad esempio, le spese il giovane Fabrizio Ferrandelli che, nell’immaginario collettivo, è apparso, diversamente dal suo avversario, espressione della casta o, quanto meno, dei tradizionali giochi di palazzo.

Pasquale Hamel

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