Un gigantesco falso negativo. Dopo l’inchiesta che in un colpo solo ha decapitato l’assessorato alla Salute dalla guida politica e burocratica, con le dimissioni di Ruggero Razza e l’arresto di Maria Letizia Di Liberti, guardare indietro, a ciò che sin qui è stata la gestione del Covid-19 in Sicilia, rischia di causare un effetto straniante. Il disorientamento, d’altra parte, è naturale: per i magistrati i dati sulla pandemia sarebbero stati manipolati per andare incontro agli interessi del governo Musumeci, specialmente nella fase in cui si è creduto di meritare un allentamento delle misure restrittive decise da Roma. E altrettanto naturale diventa chiedersi se ci sia anche altro a essere stato raccontato in maniera diversa dalla realtà. Se la verità, per usare una delle espressioni contenute nell’ordinanza firmata dalla gip Caterina Brignone, sia stata spalmata non solo in tema di morti e contagi. Di sicuro c’è che inciampi, svarioni e scandali non sono mancati.
Pronti, via: l’esodo dal Nord e la contesa con De Luca
Dal primo momento in cui è apparso in Sicilia, il Covid-19 è stato al centro di conflitti di natura strettamente politica. Scontri che spesso hanno dato l’impressione di andare oltre il merito delle decisioni da prendere, finendo per trasformare la pandemia in uno dei tanti terreni per sfidare il proprio avversario. Già a marzo del 2020, in occasione del temuto esodo dei fuorisede dalla Lombardia prima zona rossa d’Italia, Nello Musumeci e Ruggero Razza si trovarono ad affrontare gli attacchi frontali di Cateno De Luca. Il sindaco di Messina più volte accusò il governo di inadeguatezza, arrivando persino a occupare simbolicamente il molo del porto messinese per bloccare l’arrivo indiscriminato di potenziali infetti. Nel corso dei mesi, la diatriba si è spesso riaccesa, con ordinanze sindacali che puntavano a colmare le lacune di quelle regionali, reciproca rivendicazione dei risultati e, per finire, la richiesta di rimozione dei vertici dell’Asp messinese accusati proprio di gestire con ritardo i numeri dei contagi.
L’arresto di Antonio Candela
Poco più di due mesi. Tanto è durata l’esperienza di Antonio Candela alla guida del gruppo di esperti nominato per accompagnare il governo regionale nelle decisioni da adottare per contrastare la diffusione dei contagi. L’ex manager dell’Asp di Palermo, divenuto paladino dell’antimafia, viene arrestato a maggio nell’inchiesta sulla corruzione nella sanità regionale. Da quell’indagine emergerà che l’incarico a Candela sarebbe arrivato dopo la promessa di Musumeci – fatta quando ancora il mondo doveva scoprire il Covid – di affidargli un ruolo importante, come compensazione alla mancata nomina come manager in una delle aziende sanitarie dell’isola. Dopo l’arresto, Razza – da Candela definito un «bambino» – aveva ammesso di «avere notato stranezze», assicurando che da lì in poi la Regione avrebbe adottato uno «sguardo severo».
Calcolatrici in tilt già in estate
Le intercettazioni sui funzionari che parlano dell’effetto scotolatura procurato dai decessi sul numero delle terapie intensive occupate e la reticenza nel comunicare i dati sui contagi giornalieri troppo alti hanno destato scalpore. Ma che qualcosa non andasse con i conteggi alla Regione era già emerso quando mancava poco all’estate: a metà giugno Musumeci e Razza avevano parlato di disallineamento tra i dati raccolti dalla Protezione civile regionale e quelli comunicati direttamente all’Istituto superiore di sanità. Un approfondimento di MeridioNews aveva fatto luce su una serie di casi fantasma e guarigioni impossibili. Adesso i magistrati ritengono che, mesi dopo, dietro il caos dei numeri non ci siano stati soltanto sistemi di raccolta inadeguati, ma anche la volontà di imbellettare una situazione che sarebbe stata meno rosea di quello che si diceva.
Gli appalti ballerini
Lo sguardo severo promesso da Razza, dopo l’ondata di arresti dell’inchiesta Sorella Sanità, avrebbe dovuto riguardare anche le procedure a evidenza pubblica. In altre parole, gli appalti. Con il Covid – e il decreto Semplificazione diventato legge poco prima dell’inizio della seconda ondata – di soldi ne sono stati gestiti tanti e con iter spesso velocizzati per andare incontro alle esigenze di tempestività dettate dall’emergenza sanitaria. Ma le cose non sempre sono andate per il meglio: dall’affidamento diretto alla ditta da poco coinvolta in un’indagine su una presunta truffa al sistema sanitario alla gara sui tamponi rapidi che ha registrato una serie di polemiche per la scelta dei prodotti da acquistare ma anche uno stop per problemi legati alla stesura del bando.
Flop tecnologici
All’origine dell’inattendibilità dei dati comunicati in questo primo anno di Covid ci sarebbe anche il sistema di raccolta utilizzato dalla Regione, in una prima fase affidato alla compilazione di fogli elettronici di calcolo per fotografare l’andamento della pandemia nell’isola. Ma le vicissitudini tecnologiche sono state anche di altro tipo: dai tanti problemi legati all’app SiciliaSiCura – in un primo tempo lanciata da Musumeci e Razza come adeguata alternativa a Immuni e poi man mano messa da parte fino alla silenziosa uscita di scena, con tanto di vaghezza sui costi affrontati – a quel progetto TeleCovid, pagato 800mila euro all’Ircs Bonino Pulejo di Messina e sostanzialmente mai partito, fino alla decisione di virare su una gestione interna, tramite il Cefpas.
Il tracciamento e le paghe da nababbi
Tra i tanti problemi che si sono presentati nella gestione della pandemia, quello riguardante le difficoltà di garantire un tracciamento adeguato dei contatti avuti dalle persone risultate positive ha avuto un peso non indifferente. L’indice è tra quelli considerati dal governo nazionale per determinare il tipo di misure restrittive da adottare per le singole regioni, ma la Sicilia non ha mai eccelso. Anche quando l’arruolamento dei giovani medici confluiti nelle unità speciali di continuità assistenziale (Usca) si credeva potesse rilanciare l’Isola dai bassifondi della classifica. In compenso, gli stessi medici sono finiti nell’occhio del ciclone per le ricchissime paghe ottenute per le prestazioni da liberi professionisti offerte ma anche per i troppi casi in cui il monitoraggio dei pazienti in isolamento domiciliare non è stato costante così come promesso dal governo regionale.
Il futuro dell’assessorato
Dopo le dimissioni di Razza – accolte da Musumeci che ha avuto modo di sottolinearne il senso di responsabilità e onore mostrato dal proprio braccio destro – a guidare politicamente i dipartimenti della sanità regionale sarà proprio il governatore. L’avere tenuto per sé la delega è subito sembrata la strada più facilmente percorribile, in un momento in cui aprire tavoli di contrattazione politica per un nuovo incarico sarebbe stato facilmente criticabile dalle opposizioni. Le stesse però che ieri hanno sottolineato come, pur non essendo indagato, resta la responsabilità politica di Musumeci in quello che è accaduto. Dal canto suo, secondo i magistrati, il governatore sarebbe stato totalmente all’oscuro di ciò che accadeva dalle parti del dipartimento. In un’intercettazione di una decina di giorni fa, il presidente chiede a Razza di aggiornarlo sulla situazione palermitana e la necessità di annunciare la zona rossa su tutta la provincia. «Non ti sei più fatto sentire ieri, non so più niente su Palermo!», lamenta Musumeci. Poi rassicurato da Razza, che gli fornisce numeri parzialmente diversi da quelli della sera prima. Una correzione che, per gli inquirenti, potrebbe aver nascosto l’ennesima manipolazione.
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