I dolci della nostra tradizione

In questo mese, in tutti i bar, panifici e pasticcerie di Catania si possono trovare vere e proprie leccornie, orgoglio della nostra antica tradizione gastronomica. Sono buonissimi, ricchi di sapori e odori. Ma li conosciamo veramente ? Sappiamo da dove derivano e perché si chiamano così ? I più venduti sono Rame di Napoli, seguiti da Ossa di Morto e Totò, ma anche Piparelle e ‘Nduzzi non sono da meno. Cominciamo dai Rame di Napoli. Sono biscotti ricoperti di cioccolato scuro fondente o bianco, eseguiti in due versioni: semplici e ripieni con la marmellata di albicocche. L’ultima versione li vuole con la Nutella all’interno, cosa che potrebbe far perdere il vero gusto ai nuovi conoscitori di questi dolci. 

 

Una curiosità che li riguarda è che, mentre qui a Catania sono ultra conosciuti, a Napoli li sconoscono. Strano, no ? Noi lo abbiamo appurato telefonando alla pasticceria Scaturchio, la più antica della città – risale al 1903 – e chiedendo anche ad alcuni napoletani. Non ne hanno mai sentito parlare. E allora il loro nome da cosa nasce ? “ Da un atto di stupido vassallaggio che noi catanesi abbiamo tributato a Napoli. Per fare onore a questa città, al tempo del regno delle due Sicilie – ci spiega il gastronomo e scrittore Pino Correnti –. Ma Napoli di questo dolce non ne sapeva niente”. La dimostrazione di ciò risiede nel fatto che tutt’oggi nella città partenopea non sanno cosa siano.  I “Totò” – diminutivo siciliano del nome Salvatore – sono simili ai Rame di Napoli, ma anziché essere ricoperti di cioccolato fondente, sono ricoperti di cioccolato liquido e hanno una forma diversa.

 

Passiamo alle “Ossa di morto” – chiamate anche “Pasta di garofano”. Questi biscotti sono formati da una parte chiara e una scura, quest’ultima messa sopra quella chiara, fatta con la stessa pasta e alla quale viene data la forma di piccole ossa una forma diversa.

Gli  “’nzuddi”, – “Zulle” nella lingua italiana –  di cui ci sono due versioni, con le mandorle, più secche o ricoperte al miele, più morbide. Il loro nome deriva da Vincenzo Bellini come tiene a sottolineare il critico gastronomico Pino Correnti, che facendo ricerche in materia è risalito al periodo in cui il cigno catanese, all’età di 6 anni, “componeva la sua prima cantica, sgranocchiando questi dolci ai quali in seguito fu dato il suo nome”.

Vincinzuddu Bellini è nato il 2 novembre 1801 e a lui, oltre alla pasta alla norma, dobbiamo attribuire anche questo dolce.

 

La nostra gastronomia offre anche le “Piparelle”, cioè biscotti a forma di fettine di pane, eseguiti con ingredienti naturali quali farina, cioccolato, albumi d’uovo, mandorle e pepe nero, che si possono gustare  inzuppandoli nel vino o nel mosto.

Questo è il periodo in cui si preparano anche i “cannistri” – o canestri – che si possono regalare ad amici e parenti, in cui si mettono questi dolci, decorandoli con la frutta martorana, fatta di marzapane. Incredibilmente somigliante a quella vera, viene data loro forma di castagne, nespole, fichidindia, ma anche frutti di mare e pesci, tutti incredibilmente dolci. 

Chiudiamo il quadro delle delizie che vengono prodotti in questa ricorrenza con i “Bersaglieri”, biscotti ai quali viene conferita la forma di bastoncini ricoperti di cioccolato e i “Regina”,  fatti come i primi, ma ricoperti di glassa bianca.

 

 

A buon intenditor, …………….

Melania Mertoli

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