I conti di Saguto-Caramma e i rapporti con Cappellano «Compensi aumentati? Si aggiungevano incarichi in più»

«Il mio lavoro era un compartimento stagno, lo gestivo io, e di quello di mia moglie non mi sono mai interessato». Lo ha ribadito Lorenzo Caramma rispondendo anche alle domande dei magistrati di Caltanissetta. Imputato insieme alla moglie Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, ha raccontato che i loro discorsi sulle rispettive giornate lavorative rimaneva sempre piuttosto generici. «Lei ne parlava, ma non entrava mai nello specifico, non è che sapevo se avesse contatti con quello o quell’altro amministratore – spiega – Io non so quali incarichi abbia conferito, ad esempio, all’avvocato Cappellano Seminara (anche lui tra gli imputati), sentivo che parlavano insieme, ma non so nulla di più». Lui e l’avvocato si conoscono tra il 2004 e il 2005, per motivi strettamente professionali. «Con Cappellano Seminara c’è stato sempre un rapporto di reciproca stima, ma non avevamo rapporti di particolare confidenza, capitava di viaggiare insieme per le immissioni in possesso o per effettuare dei sopralluoghi. Veniva a casa – spiega poi -, non so dire con che frequenza. Veniva per parlare con mia moglie, io non ero mai presente a una loro discussione, non mi riguardava e non mi sembrava opportuno».

Una moglie, Silvana Saguto, alla quale dal canto suo anche lui non racconta certi dettagli del suo lavoro e dei suoi incarichi con l’avvocato. «Lei non conosceva i problemi che affrontavo, non sapeva nel dettaglio cosa facessi, erano specifiche tecniche che non la riguardavano, non le competevano, evitavo assolutamente questo tipo di comunicazioni. Non ha mai saputo neppure delle minacce a volte ricevute, per farci stare al nostro posto – rivela a un certo punto Caramma -, non glielo raccontavo. Non voglio fare nessuna prosopopea, ma nella misura Allegro ad esempio ho subito personalmente una minaccia diretta alla mia famiglia, in quella Lombardozzi dopo una richiesta giunta in tarda sera di ritirare dei documenti presso un sito sequestrato vicino Favara siamo stati affiancati da un’auto che ci ha buttati fuori strada, siamo dovuti scappare. A che pro andare a raccontare a casa cosa hai rischiato?». Qualche piccola ingerenza, però, se così si può definire da parte di lei nel mondo professionale di lui c’è eccome. Ad esempio, quando si rivolgeva all’avvocato Cappellano Seminara per chiedere di pagargli alcune parcelle. «So che quando era in difficoltà mia moglie chiedeva all’avvocato Cappellano Seminara di pagarmi quanto già maturato, per far fronte ad alcune esigenze».

Esigenze economiche, come pagare le rate del mutuo, diventate in alcuni momenti insostenibili a causa dello stipendio di tutor e professore che l’istituto dei salesiani, ad esempio, non gli avrebbe erogato anche per 26 mesi. Ma in che modo la collaborazione con l’avvocato Cappellano Seminara incideva sui redditi della loro famiglia? «Preferirei ne parlasse il mio consulente, che ha dati ben precisi – risponde Caramma -, io ho solo qualche dettaglio estrapolato ma non il valore preciso, non vorrei pronunciarmi». Ma quanto ha lavorato per l’avvocato, in sostanza? «Gli incarichi mi impegnavano molto, alcuni erano molto onerosi, come quando sono stato chiamato dalla procura di Avellino per il disastro del bus caduto dal viadotto, o quando con altri due tecnici sono stato incaricato di una verifica di una cinquantina circa di chilometri di superstrada in cui si pensava ci fossero problemi di infiltrazione dell’ndrangheta. Incarichi che ho condotto contemporaneamente a quelli per le misure di prevenzione. E c’era un continuo rapporto con chi mi conferiva l’incarico».

E come veniva pagato, esattamente, per gli incarichi che svolgeva? «Col cosiddetto modello 12, un mandato che io portavo alle poste e con cui mi consegnavano il corrispettivo, in quel periodo facevo moltissime perizie, importi di duemila-duemila e cinque, erano diversi e questo contante lo tenevo a casa a disposizione delle necessità della famiglia e quando era necessario lo versavo nel conto corrente». Lo stesso in cui, a fronte delle difficoltà di natura economica, versava con una certa frequenza soldi contanti, a suo dire proveniente dalla famiglia. «Qualcosa ce la dava mio suocero, qualcosa mia madre, versavo i soldi in corrispondenza di scadenze di mutuo, coperture di carta, cose così. Quando potevo restituivo con bonifico o con denaro contante se ne avevo disponibilità. I versamenti – spiega – per il 2014 sono pari a 57.800, i prelievi sono di 119mila euro. Per il 2005 versamenti in contanti di 38.600 a fronte di prelievi totali di 83mila. Ribadisco, quando aveva una disponibilità la utilizzavo per restituire in parte quello che mi era stato prestato».

Dopo che la banca, a un certo punto e con sorpresa della famiglia, paga una loro carta di credito in scadenza, Saguto intercettata osserva con sollievo che «così quello…io non ho bisogno di andarlo a cercare oggi». Ma chi è quello? Avrebbe dovuto chiedere soldi a qualcuno? «È un intercalare normale per lei, che usa per persone che le sono vicine o di cui abbiamo parlato di recente – chiarisce Caramma -, poteva riferirsi a me, a mio figlio o mio suocero, insomma all’origine della più certa fonte di contanti, non è una mancanza di rispetto ma un modo di parlare di mia moglie». Tutto qui, insomma, nessun mistero dietro, nei suoi racconti. Sui frequenti versamenti di denaro contante sui conti di marito e moglie, intanto, è ferreo, provengono tutti dai familiari, «somme raggranellate in giro, così». Tornando al suo lavoro, invece, i magistrati hanno fatto domanda diretta: perché l’aumento dei compensi? Come avviene, ad esempio, nella procedura Buttitta. «L’ulteriore carico di lavoro – spiega subito -. Io ho svolto anche il ruolo di datore di lavoro, per questo».

Non solo manutenzione dei mezzi impiegati nella cava, di per sé impegnativa perché sarebbero stati molto vecchi e malconci, anche assistenza in officina e, appunto, il ruolo di datore di lavoro: «Chiedevo all’amministratore un adeguamento del compenso a far data dal gennaio del 2012. La mansione di datore di lavoro già la svolgevo dal marzo dell’anno precedente, il giudice approva questo aumento nel marzo 2012 senza specificare “a far data da”, una mail di Cappellano Seminara specificava che le mutate condizioni dell’incarico che svolgevo potevano prevedere una mutazione del compenso». Come se si fosse, trattato, insomma di una procura speciale. Ma percgé gli aumenti sono relativi ad ogni società e non ad una sola? «Io ero datore di lavoro dell’Orima, per cui percepivo un tot da ogni ditta, in questo senso convergevano tutte le società che si riversavano su Orima. Tutte si riferivano a Orima – dice -, per cui non mi occupavo solo della manutenzione ma anche di tutto l’aspetto meccanico delle singole ditte, degli spostamenti dei mezzi, queste cose».

Una discrasia di somme, tra le sue cifre e quelle liquidate dal tribunale, che ritorna anche nella procedura Allegro, come mai? «Ho effettuato le operazioni di immissione il 12 e 18 ottobre 2011 – dice, indicando due date distinte -, ci siamo trovati di fronte a un patrimonio in parte già colpito da sequestro penale, ma abbiamo dovuto prendere visione di tutto nel complesso, tra beni mobili e immobili. Per questa prima fase sono stato retribuito per le attività che ho svolto (prima di immissione in possesso e poi di stima di questi beni). Ho percepito questi importi sapendo che erano stati in parte liquidati dal tribunale e che quelli erano esclusivamente degli anticipi su quelli che sarebbero stati computati al termine della misura, così come era stato anche per la misura Padovani per esempio. Quindi il tribunale liquidava una somma, e poi l’amministrazione faceva richiesta rispetto all’ulteriore somma che aveva erogato per me e il tribunale rispondeva spiegando che era “un acconto che non pregiudicava alcuna aggiunta successiva“. Emettevo delle fatture che poi potevano essere oggetto di ulteriore liquidazione in corrispondenza del compenso finale».

Silvia Buffa

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