LO PREVEDE UNA MOZIONE APPROVATA IERI DALL’ARS, PRIMO FIRMATARIO, NELLO MUSUMECI. BREVE STORIA DI QUESTI LUOGHI DAL FASCISMO AI NOSTRI GIORNI
I borghi rurali degli anni Quaranta, disseminati nelle nove provincie e appartenenti al demanio regionale, potranno essere venduti ai privati.
Lo ha deciso lAssemblea regionale siciliana approvando, con voto unanime, una mozione di cui è primo firmatario Nello Musumeci.
I borghi rurali, in stato di abbandono, sono: Gaetano Schirò, Portella della Croce, Vicaretto e Domenico Borzellino in provincia di Palermo, Bruca in provincia di Trapani, Pietro Lupo in provincia di Catania, Schisina, San Giovanni e Salvatore Giuliano in provincia di Messina, Baccarato in provincia di Enna, Petilia in provincia di Caltanissetta e Antonino Bonsignore in provincia di Agrigento. (sopra, foto tratta da blog 42 mm.it)
Liniziativa tende a salvaguardare alcuni di questi borghi con interventi strutturali, promuovendo un disegno organico complessivo che rimodula il rapporto tra gli antichi centri e le aree vicine e propone nuove funzioni di servizio e di promozione che si collegano in maniera più pertinente alla profonda trasformazione dei territori rurali e allobiettivo di un loro sviluppo sostenibile.
I borghi rurali che non rientreranno negli interventi di riqualificazione adottati dalla Regione attraverso lEsa, potranno essere venduti a privati, vincolandone la destinazione ad attività turistico-ricettiva e lasciandone inalterata la cubatura, per evitare speculazioni e devastazioni dellimportante patrimonio di architettura rurale.
Spetta adesso al Governo, che in aula ha espresso parere favorevole, adottare le iniziative conseguenti.
Questi borghi rurali sono stati realizzati in Sicilia nei primi anni ’40, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale. Sono il frutto del cosiddetto ‘Assalto al latifondo’ siciliano lanciato dal regime fascista.
Per l’occasione, Mussolini chiese consiglio a uno degli agronomi più noti del tempo, Tassinari. Dal quale prese nome la legge nazionale che li ha istituiti.
La filosofia di questa legge prevedeva la realizzazione di borghi con abitazioni, la chiesa, le scuole e, in generale, una serie di servizi. L’obiettivo era quello di far vivere gli agricoltori a contatto con le aziende agricole e non in luoghi lontani.
In realtà, molti agricoltori siciliani si erano allontanati da certe aree agricole isolane per sfuggire alla malaria, allora molto diffusa. Tant’è vero che, prima delle legge Tassinari, che risale, come già ricordato al 1940, il regime fascista, nel 1936, aveva varato un’altra importante legge: la legge Serpieri, che prendeva il nome da un altro grande agronomo del tempo, Arrigo Serpieri.
E’ la legge sulla ‘Bonifica integrale’. Mussolini e i suoi tecnocrati pensavano che, una volta eliminata la malaria e costruiti i borghi rurali, gli agricoltori siciliani sarebbero tornati a vivere a contatto con la terra, nei borghi rurali (in verità, la malaria, in Italia, non è stata sconfitta dalla bonifica integrale – peraltro irrazionale, perché a distrutto tante aree umide – ma dal ddt).
La legge Tassinari trovò parziale applicazione a causa della guerra. Il programma, infatti, prevedeva la realizzazione di oltre un centinaio di borghi rurali. Invece ne sono stati realizzati, sì e no, una decina.
Dopo la seconda guerra mondiale questi borghi sono passati all’Eras, l’Ente per la riforma agraria siciliana. Nel 1965 finiscono nel patrimonio dell’Esa, l’Ente di sviluppo agricolo siciliano.
Di fatto, questi borghi non sono mai stati valorizzati dall’Esa e, in generale, da una Regione siciliana miope. Avrebbero potuto diventare sede di aziende agrituristiche. O sedi di musei regionali. Ma a trionfare è stata l’incultura e la strafottenza della politica siciliana.
L’Esa, nella Prima Repubblica, era un ente che gestiva appalti e tangenti nel nome delle dighe in parte lasciate a metà. Figuriamoci se trovava il tempo per fare qualcosa di serio.
Dell’Esa oggi rimangono solo i trattoristi. E questi borghi. La speranza è che, finalmente, vengano valorizzati. Senza speculazioni. Speriamo bene.
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