«Non c’è dubbio, non c’è il minimo dubbio che vorrei vivere qui: vivere e morirci, non di pace, come con Lawrence a Ravello, ma di gioia». È in questi termini che, in un reportage giornalistico del 1959, Pier Paolo Pasolini parla di Catania e di Siracusa: città «non belle», in cui «tutto è provvisorio, cadente, miserabile, incompleto», ma che lo lasciano nella condizione di non saper «dire in cosa consista l’incanto». La serie di pezzi in questione si intitola La lunga strada di sabbia e ha ispirato a Massimiliano Perrotta – regista originario di Mineo – il documentario Sicilia di sabbia, proiettato martedì nell’ambito di Sicily est cinema, sezione del festival culturale itinerante I Art, alle Ciminiere fino a sabato 16 maggio.
«Un festival sull’identità siciliana nel cinema», come ricorda il critico Franco La Magna, che, tra gli eventi in programma, ha inserito anche un omaggio al poeta di Casarsa: «Uno che è nato in una città piena di portici nel 1922», come lui stesso si definì in un verso, e che non solo amò visceralmente la Sicilia, ma ne usò ripetutamente i paesaggi. «Un tributo necessario, per celebrare i quarant’anni dalla morte, ma anche dall’ultimo film, di quella feconda anomalia del cinema italiano che è Pasolini», afferma Stefania Rimini, docente dell’Università di Catania.
Gli scorci siciliani rappresentano davvero uno set privilegiato della sua produzione: a cominciare dal viaggio-inchiesta per la penisola di Comizi d’amore, che «parte proprio dalle interviste ad alcuni bambini palermitani», come ricorda Rimini. Ma sono soprattutto i deserti petrosi dell’Etna ad attrarre Pasolini e a offrirgli scenari infernali in tinta con la sua poetica di esegeta dantesco, come avviene in Teorema, nell’episodio di Porcile ambientato alle pendici del vulcano o nell’ottavo capitolo dei Racconti di Canterbury. «Di Porcile va segnalata anche la scena del processo – continua la docente – che venne girata nel castello di Acicastello. E come dimostra la tragedia omonima, anche nel teatro di Pasolini giungono echi di Taormina e Siracusa, che si connotano ugualmente come luoghi dell’evasione».
Fra il litorale ionico, che nei primi minuti scorre dal finestrino di un vagone, e una spiaggia siracusana è ambientato il primo episodio di Nerolio, film di fiction del 1996, proiettato alla presenza dell’autore Aurelio Grimaldi: regista siciliano, autore di ben tre film ispirati alla figura di Pasolini, nonché presidente della giuria lungometraggi della rassegna. «Mi sono chiesto perché a un certo punto Pier Paolo decida di portare il suo personaggio a Siracusa», spiega ai presenti, e si riferisce al viaggio in treno del protagonista di Petrolio, romanzo pasoliniano incompiuto, richiamato nel titolo del suo lavoro.
«In quel reportage che risale le coste italiane, Pasolini indaga la diversità regionale siciliana e immortala una realtà destinata a scomparire di lì a poco, sotto i colpi della speculazione edilizia e del boom economico», ricorda Domenico Trischitta, drammaturgo e autore di una testimonianza sullo sventramento di San Berillo contenuta in Sicilia di sabbia. «Perrotta ritorna su quei luoghi – spiega – per capire come la Sicilia sia cambiata da allora». La macchina da presa parte da Catania e si spinge sempre più a sud, verso Priolo, Siracusa, e Capo Passero. Giunta alla «spiaggia più povera e lontana d’Italia», la voce fuori campo crede che «della Sicilia di Pasolini resta l’incanto e resta il mito».
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