«Mi chiamo Jalila e ho riconosciuto i miei figli grazie ai loro tatuaggi». Lo scorso febbraio, dalla procura di Termini Imerese sono state diffuse alcune delle immagini scattate durante le perizie dei medici legali sui corpi dei tre sub morti che non erano stati reclamati da nessuno e non erano stati identificati. Per mesi i magistrati di cinque procure diverse (Agrigento, Messina, Patti, Termini Imerese e Trapani) hanno indagato sul possibile collegamento tra i cadaveri trovati sulla costa tirrenica della Sicilia e il rinvenimento di sei scatoloni pieni di hashish. Adesso, la madre di due giovani tunisini Jalila Taamallah ha riconosciuto i tatuaggi di due dei suoi figli. «Tutto ciò che chiedo è di riportare le salme in Tunisia per dare loro una degna sepoltura».
Il primo cadavere viene trovato il 31 dicembre a Mezzaforno (in provincia di Palermo), una settimana dopo (l’8 gennaio) un secondo corpo riaffiora su una spiaggia a Castel di Tusa (nel Messinese) e, infine, il 15 gennaio il terzo cadavere viene trovato nella zona tra Termini Imerese e Trabia (nel Palermitano). Intanto, sui litorali di Castelvetrano, Cefalù, Messina e Agrigento erano spuntati anche sei pacchetti – tutti confezionati allo stesso modo – per un totale di quasi cento chili di sostanza stupefacente dal valore complessivo di oltre un milione di euro. «Informo che la barca che ha portato i miei figli in Italia non è la stessa che compare nella foto diffuse – aggiunge ancora la donna – Si è parlato di traffici di droga ma questa vicenda con la droga non c’entra nulla. I miei figli erano con altri quattro connazionali su una barca che è naufragata», ricostruire Taamallah.
Il primo corpo, quando viene ritrovato ha addosso solo gli slip e la parte superiore della muta; il secondo cadavere indossa una muta intera, la canottiera, i calzini e le scarpe da ginnastica; anche il terzo corpo ha addosso una muta da sub della stessa marca (Aqua Lung) di quella indossata dal primo cadavere e anche lui ha una canottiera e dei calzini. Sui loro corpi nessun segno di violenza. «I miei figli indossavano la muta perché la nostra è una famiglia di pescatori e loro si vestivano così quando andavano per mare». La donna li avrebbe riconosciuti dai grossolani tatuaggi rimasti incisi sulla loro pelle, protetti proprio dalle mute che indossavano: la sagoma di un pipistrello – che somiglia al simbolo di Batman – con all’interno delle ali due ghirigori, una lettera emme che sembra la rappresentazione grafica del segno zodiacale dello Scorpione, un disegno tribale composto da una striscia con all’interno dei triangolini, la scritta in inglese One love e una A di anarchia inscritta dentro a un cerchio.
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