«Cosa si è fatto in Italia per evitare la trasmissione sessuale dell’Hiv? Niente. Assolutamente niente. C’è stato un momento storico in cui le associazioni venivano invitate nelle scuole per parlare del contagio, e adesso non capita più. Non sono mai state fatte campagne serie per incentivare l’uso del preservativo. In questo Paese è difficile parlare di uso del preservativo così come è difficile organizzare momenti di educazione sessuale». La risposta di Luciano Nigro, docente di Malattie infettive all’università di Catania e presidente della sezione etnea della Lila (Lega italiana per la lotta contro l’Aids), è nettissima. Se nel Catanese «negli ultimi anni si registra un lieve aumento delle infezioni» da Hiv nei giovani al sotto dei 25 anni è perché non si fa prevenzione. I dati dell’osservatorio epidemiologico della Regione Sicilia parlano di 393 nuovi casi diagnosticati tra i residenti nell’area del capoluogo etneo nei cinque anni compresi tra il 2009 e il 2014. Almeno tra quelli censiti negli ospedali Garibaldi, Vittorio Emanuele e Cannizzaro di Catania, e al presidio ospedaliero Gravina di Caltagirone.
«La stragrande maggioranza dei ragazzi sotto i 25 anni non hanno mai sentito parlare di Hiv», continua Nigro. Sono soprattutto le fasce di età più giovani a non conoscere i rischi dell’infezione dal virus dell’immunodeficienza umana (è questo il significato della sigla con la quale viene identificato) e a non sapere neanche cosa sia l’Aids. Cioè la malattia che il virus può causare se non trattato. In totale sono 674 i casi di Aids conclamato registrati a Catania e provincia, 58 nel quinquennio 2010-2014. Numeri che rimangono costanti e che, anzi, nel trend regionale, aiutano a registrare un calo – quasi continuo – del fenomeno.
«Nel mondo – prosegue l’esperto – circa un terzo dei sieropositivi non sa di esserlo. Perché non pensa di essere a rischio e non ha mai fatto controlli. Il risultato è che il 70 per cento delle nuove infezioni viene proprio da persone che non sanno di aver contratto il virus». Eppure non è più necessario aspettare un paio di giorni per avere i risultati dell’esame del sangue, che comunque si può effettuare in forma anonima e nelle unità operative apposite degli ospedali. Ed esistono nuovi test per l’Hiv, come quello che analizza la saliva, e che sono in grado di fornire dei risultati in appena 20 minuti.
«Il restante 30 per cento di chi contagia, invece, è dovuto alle persone che sanno di avere l’Hiv, rimuovono e non si curano. Oggi è provato che chi è in trattamento ed ha bloccato la replicazione del virus non trasmette l’infezione». Tra chi scopre di essere sieropositivo, un 20 per cento fa i controlli perché inizia a stare male. Il restante 80 per cento, invece, è «in buona salute». «Sono giovani uomini, tra i 18 e i 25 anni, che hanno rapporti sessuali con altri uomini». Ci sono poi le donne «partner di uomini spesso bisessuali». E c’è anche qualche ragazzo ancora minorenne.
Alla Lila di Catania arrivano ogni giorno una decina di telefonate per ottenere supporto a distanza. Poi ci sono due gruppi di auto-aiuto, ciascuno con gruppi di otto persone. E poi ci sono i 12 soci sieropositivi. Tra i quali anche la vicepresidente della sezione etnea. «Se di un’emergenza possiamo parlare – chiarisce Luciano Nigro – è l’emergenza prevenzione. Le nuove infezioni sono causate principalmente dalla mancanza di informazioni corrette. Se non sai cosa rischi non sai che ti puoi difendere. Il condom è mia opinione che dovrebbe essere considerato alla stregua di un farmaco salvavita e quindi distribuito gratuitamente. La prevenzione conviene sempre: spendiamo 1200 euro al mese per curare le persone con Hiv. Risparmieremmo se attivassimo tutte le procedure necessarie affinché le persone smettano di infettarsi? La mia risposta è ovvia: risparmieremmo e creeremmo posti di lavoro nell’ambito della medicina preventiva».
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