Grignani Unplugged a metà

Gianluca Grignani, noto al grande pubblico per Destinazione Paradiso, dal 1995 ne ha composte di canzoni ed album. Eppure lo si continua ad associare solamente a due o tre brani. Questa è la sensazione che accomuna la platea del teatro ABC. Pochi i ragazzini, per lo più è la fascia venti/trenta che occupa le poltrone della sala.

Dopo aver pubblicato una riedizione dell’album Cammina nel sole, con il quale si è presentato alla scorsa edizione del Festival di Sanremo, il cantautore milanese è partito per i teatri d’Italia con il tour Unplugged. Per questa nuova tournee l’artista ha preparato ben 60 pezzi del suo repertorio da offrire al pubblico, ma disseminati nei vari concerti. Lo show, infatti, è ogni volta diverso: la premessa è quella di coinvolgere attivamente gli spettatori che vengono chiamati a scegliere alcuni dei brani da inserire nella scaletta.

In realtà, la formula unplugged a Catania non è stata rispettata per via delle condizioni vocali del cantante, ma di sicuro il nostro è stato un concerto diverso rispetto agli altri!

La difficoltà ad eseguire i brani ed i continui colpi di tosse tra un strofa e l’altra hanno reso l’esibizione alquanto atipica: per molti astanti (addirittura) una perdita di denaro e tempo, per l’artista invece l’aver cantato tutto un tono sotto è da considerarsi una chicca non da tutti. Punti di vista.

Lo spettacolo ha inizio con un accettabile quarto d’ora di ritardo allietato da musica New Age e canto di fringuelli. Ci sono fan che hanno incontrato Grignani fuori dal teatro e ci raccontano che sembrava un po’ scocciato e parecchio ingrassato, anticipandoci che era senza voce.

La sala è piena, buia e brulicante quando un uomo con megafono in mano apre ufficialmente lo spettacolo. La scenografia è semplicissima, qualche sfera di luce dai colori cangianti distribuita sul palco e nello sfondo un pannello bianco con il disegno stilizzato di un joker. È proprio The joker la canzone scelta per dare il via alla serata.

Poi, tra un attacco di tosse e una chiacchiera, Grignani sforna diversi brani tra cui Revolution, Solo cielo, Sandy, Tutti gli angeli giù dal cielo ed i più noti Falco a metà e Fabbrica di plastica. Ed ancora, in omaggio a Gaber, esegue la sua versione de Il conformista perché – spiega – “ci sono cantautori che devono essere cantati!”.

Nonostante le premesse altisonanti, la sua voce continua a scarseggiare e lo stesso cantante deve ammettere che fa molta fatica ad andare avanti, cosa che non rispecchia il suo stile. Ma riesce a tenere duro arricchendo lo spettacolo di momenti in cui risalta la sua sensibilità, come quando dedica Bambina nello spazio a Roberta Lo Piccolo ricoverata al Centro oncologico di Catania o quando invita una ragazzina a salire sul palco (nonostante i suoi continui richiami – da fare invidia a qualsiasi professore – ai tanti fan che di continuo si accalcavano sotto il palcoscenico!) a cantare con lui.

Il bel cantante rivolge qualche pensiero anche alla sua famiglia, quando canta I campi di popcorn dedicata al padre, con la spiegazione “che ogni figlio deve perdonare sempre gli errori del proprio genitore” che poi sfocia in una digressione un po’ confusa sulla società attuale e la gioventù di oggi molto più sveglia ma meno vissuta; il suo pare un grido allarmato di un genitore per la responsabilità che avrà nei confronti delle sue due figlie, quasi l’atto di dolore di fronte al pubblico di uno che, per sua stessa ammissione, parla bene e razzola male e che ha conosciuto il lato più osceno della vita. A conclusione di questo discorso ammonitore, arriva appunto il pezzo Dio privato.

Non possono di certo mancare i due nuovi brani dell’album nella versione repackaging: Vuoi vedere che t’amo, nell’originale cantata in duetto con L’aura e Mi sono innamorato di te, omaggio a Luigi Tenco.

Finalmente dopo la falsa uscita (ormai un classico e stancante giochetto di scena a chiusura della maggior parte dei concerti), finalmente le conosciamo tutti e finalmente possiamo cantarle: “Destinazione paradiso, paradiso cittàààà” e “la mia storia tra le dita, naaananaa naaananana”.

Benedetta Motta

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