Gli zingari. Storia e cultura

Tutti gli anni verso il mese di marzo una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquíades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l’ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e persino gli oggetti perduti da molto tempo ricomparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquíades. «Le cose hanno vita propria» proclamava lo zingaro con aspro accento, «si tratta soltanto di risvegliargli l’anima».

Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine

Avvolta nella nebbia la loro origine, complessa e travagliata la loro storia, difficile il loro presente. Sono gli zingari, un etnia dai mille volti: in gran maggioranza sono Rom, ma anche Manuš, Kalé, Sinti. Nella loro lingua, detta romanes, Rom significa “uomo”. Il termine “zingaro” deriverebbe da Athinganos, nome con cui i greci designavano i membri di una setta eretica; da una leggendaria origine egiziana i nomi “gitano” in Spagna e “gipsy” in Gran Bretagna.

Sono stati i linguisti, fin dalla seconda metà del Settecento, a stabilire l’origine indiana della popolazione zingara. A partire dal IX secolo, in seguito a persecuzioni, gli zingari si mossero dalle zone nord-occidentali dell’India verso la Persia e l’Armenia e da qui verso la Turchia e la Grecia, da dove poi si diffuse in tutta l’Europa.


Rom appena giunti al campo di sterminio di Belzec
Archiwum Dokumentacji Mechanicznej

Dai paesi slavi e dalla Grecia giunsero in Italia per due vie: terrestre, attraverso i Balcani e i territori tedeschi verso le regioni del nord; marina, verso le coste abruzzesi, pugliesi, calabresi e siciliane. Perseguitati da sempre: cacciati nel 1492, insieme a ebrei e mori, dalla cattolicissima Spagna, in Prussia e nel ducato di Milano potevano esser messi a morte senza processo. E poi, come per gli ebrei, la “razionalizzazione” della persecuzione ad opera del nazismo: vagoni piombati e lavoro forzato, camere a gas e forni crematori, sperimentazioni scientifiche e laboratori di ricerca. Lo sterminio nazista degli zingari si chiama porrajmos , le sue vittime sono state oltre mezzo milione.

Il crollo dei paesi socialisti, che avevano avviato dure politiche di integrazione forzata, ed il dissolvimento della Jugoslavia forniscono nuove spinte all’emigrazione verso occidente, ripresa con l’entrata nell’Unione Europea della Slovacchia, dell’Ungheria, della Romania e della Bulgaria.


La diaspora degli zingari

Nel nostro paese, il gruppo più numeroso, economicamente attivo e socialmente integrato, è quello dei Rom abruzzesi, che mantengono forti i legami delle famiglie, estese e ramificate in molte regioni (Abruzzo, Molise, Lazio, Puglia, Marche). Un altro gruppo importante è quello dei Rom calabresi, un tempo fabbri ferrai. Periodicamente si spostavano in Sicilia, dove è rimasta traccia della loro presenza in detti e racconti popolari.

Il popolo “senza territorio” non ha una propria specifica religione: nella sua diaspora secolare si è sempre adattato alle religioni locali, accettandone, pur di sopravvivere, riti e credenze. Ci sono così comunità ortodosse, cattoliche, musulmane. Nella gerarchia dei valori degli zingari prima c’è l’uomo (il ’rom’), poi la natura e quindi la vita: ci sono cose superiori, infatti, alla propria vita, come l’onore, la dignità, la parola data tra zingari. Il popolo zingaro non ha mai dichiarato guerra a nessuno, è tollerante, rispettoso della natura, sa inculcare nei figli l’amore per la terra, considerata madre di ogni vivente. La sua è una filosofia di libertà: la filosofia dell’essenziale, del sopravvivere col minimo di cose.

Le condanne, le emarginazioni, le persecuzioni hanno rafforzato nel popolo zingaro il senso della propria identità e differenza, tanto che anche nelle nuove generazioni è molto forte il senso di razza. Molte cose però stanno cambiando, anche a causa delle mutate condizioni di vita: l’ingresso dei bambini nella scuola, la comunicazione mass-mediale, e poi la sedentarizzazione. Nomadi per scelta, per loro abitare in una casa non è un fatto spontaneo, bensì una scelta imposta dall’insufficienza e l’invivibilità dei campi-sosta, dagli eccessivi controlli delle forze dell’ordine, dalle repressioni, dai regolamenti comunali.


     
Alcune famiglie rom
SpazioIndifeso.it

Con il televisore, entrano nelle roulotte nuovi modelli, contrastanti con i valori tradizionali del popolo rom: il consumismo, il desiderio di avere e di possedere, la competitività. I giovani cominciano ad aver bisogno di denaro per il divertimento, per l’automobile di grossa cilindrata, per i vestiti firmati. Non c’è più spazio per i lavori tradizionali dei rom, e questo altera negativamente i classici ruoli: il sostentamento della famiglia è ora affidato soprattutto a donne e bambini, sospinti sempre di più verso attività improprie, ritenute illegali dai Paesi ospitanti.

La crisi, tuttavia, non ha ancora cambiato i Rom. Ma solo promuovendo la loro conoscenza culturale e professionale si potrà innalzarne il livello di vita, e dar loro strumenti concreti perché possano difendere in prima persona i propri diritti e la propria specificità.

articolo ripreso dal sito www.megaronline.org

Filippo Marano

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