Gli scenari futuri contro il crimine organizzato da Palermo al resto del mondo, tenendo conto dell’utilizzo sempre più preponderante dell’utilizzo di tecnologie per commettere illeciti. Docenti e esperti si sono ritrovati in un aperto confronto che si è tenuto allo Steri di Palermo e moderato dalla giornalista, responsabile della sede palermitana AdnKronos, Elvira Terranova. «L’evento funge come un luogo di dialogo sulle questioni legati alla criminalità organizzata – racconta Mario Mirabile – organizzatore e coordinatore dell’ evento e presidente associazione Logos- e sul loro possibile utilizzo delle tecnologie e cosa possiamo proporre per combattere e arrestare il fenomeno».
Nei diversi interventi i vari studiosi hanno cercato di rispondere alla domanda se è davvero possibile esportare un modello Palermo oltre Europa come ad esempio in Messico. Il professore Cattafi Bambaci dell’Università di Monterrey: «Nel contesto delle nostre attività universitarie io ed i miei studenti stiamo vedendo se si può esportare questo modello, in particolare alla capacità di rinascita della gente di Palermo. Ritengo che la mafia siciliana sia diversa da quella messicana soprattutto per come storicamente sono nate e si sono sviluppate. Anche il modo di relazionarsi con la società civile. Certo che c’è maggiore affinità con la ‘Ndrangheta per quello che attiene il traffico di stupefacenti, la globalizzazione del crimine porta anche a questo». Sul reale significato da attribuire al modello Palermo è intervenuto il professore Antonio La Spina, professore ordinario di Sociologia e Analisi e valutazioni delle politiche pubbliche alla Luiss di Roma: «Se parliamo di criminalità organizzata di stampo mafioso, Palermo e alcuni palermitani hanno avuto delle capacità di intravedere politiche di contrasto che poi hanno costituito un punto di svolta. Le politiche antimafia italiane sono state inspirate al modello palermitano». Poi c’è un modello Palermo che «prende in considerazione la Convenzione ONU del 2000 che venne siglata proprio nel capoluogo siciliano – continua La Spina – e si dedicava alle organizzazioni internazionali transnazionali. Ci sono anche organizzazioni criminali non mafiose ma che con questa hanno un punto di contatto strutturali e concettuali. L’Italia è all’avanguardia per quanto riguarda le associazioni di stampo mafioso ma non lo è invece sul campo delle associazioni correttive come ad esempio il cybercrime e incominciano a esserci degli strumenti di contrasto particolare».
Anche il professore Andrea Corti dell’università di Vienna e funzionario negli anni 90’ nelle Nazioni Unite è intervenuto sul modello Palermo: «Siete stati un esempio a livello internazionale. Quando una guerra distrugge una società il vuoto viene colmato anche dall’economia criminale. Ad esempio in Bosnia ci fu un’invasione di Ong di paesi islamici che usavano strumentazioni incredibili e fu li che ci si svelava il sistema di pagamento. Il primo passaggio è la fiducia, si crea una filiera di parenti e gli si affidano centinaia di migliaia di euro, così viene evitata la tracciabilità. Il sistema Blockchain (catena di blocco, ndr) si sostanzia nella condivisione tra soggetti di risorse informatiche e messe all’interno di un database virtuale pubblico ma ormai anche privato. Questo sistema evita questo rapporto parentale e verrà usato per trasferire denaro e di beni».
Anche a livello europeo infine, come ha sottolineato il presidente del Parlamento, Antonio Tajani in una lettera spedita per l’occasione, il fenomeno ha una rilevanza notevole. La criminalità organizzata rappresenta una minaccia transnazionale per i Paesi dell’Unione e a tal fine la cooperazione di polizia e giudiziaria è cruciale. «La nostra istituzione ha chiesto alla Commissione di lanciare un piano di azione europeo contro la criminalità, il riciclaggio di denaro che comprenda misure legislative e azioni positive finalizzate a un contrasto di tale fenomeni».
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