«Gli immigrati? Ecco perché sono una risorsa»

Al mercato i pensionati rinnegano l’euro, sul treno chi sfoglia le pagine economiche di un quotidiano sostiene che il mostro da combattere sia il capitalismo, altri ancora ritengono che la responsabilità sia del governo e della carenza di politiche sociali, se in Italia c’è aria di crisi. Ma a fronte di un così variegato ventaglio di teorie, è sempre più consistente quella fetta della popolazione che vede nell’“altro” il nemico: un italiano su due, secondo le statistiche Caritas/Migrantes del 2010, percepisce l’immigrazione come una minaccia.                                   

Di immigrazione come risorsa si è parlato invece martedì a Catania, alla Facoltà di Scienze Politiche che ha ospitato l’incontro dal titolo “Per una cultura dell’altro”. A illustrare dati e statistiche sono il direttore della Caritas diocesana di Catania, padre Valerio di Trapani, il diacono Giuseppe Cannizzo (Migrantes), Francesco Marsico (vicedirettore Caritas Italiana), Vincenzo La Monica (redattore regionale Dossier Caritas), Maria Teresa Consoli (direttore LaPoss); alla presenza  del sindaco di Catania Raffaele Stancanelli, del preside della facoltà di Scienze Politiche di Catania, Giuseppe Barone e del prof. Carlo Pennisi, assessore comunale alle Politiche Sociali.

«Se abbiamo chiesto per gli italiani giustizia e  rispetto, altrettanto dobbiamo fare per chi immigra nel nostro paese», afferma mons. Silvano Ridolfi, già direttore della Migrantes durante la prima conferenza nazionale dell’immigrazione, nel 1990. Era l’anno in cui il parlamento approvava la legge Martelli, la prima ad aver affrontato l’emergenza migratoria come una questione di ordine pubblico e ad aver introdotto disposizioni relative all’ingresso, al soggiorno, all’espulsione e al diritto d’asilo degli immigrati. E anche l’anno in cui fu redatto dalla Caritas il primo dossier, con l’obiettivo di favorire una visione agevole, ma non superficiale, delle statistiche sul fenomeno migratorio.

«La Sicilia storicamente è meta di sbarchi, per questo è stata scelta la città di Catania per presentare il nostro dossier», spiega Francesco Marsico. Il vicedirettore Caritas spiega come la percezione dello straniero, in questo ventennio, sia cambiata in rapporto alla crisi economica. «E’ la crisi mondiale a predisporre negativamente la popolazione verso la presenza degli immigrati ed è la crisi il peso che affonda i diritti sociali, creando una competizione interna», sostiene.

Interviene brevemente il Sindaco Stancanelli  per testimoniare l’impegno dell’amministrazione comunale di Catania nel processo di integrazione e per ringraziare la Caritas della preziosa collaborazione sul territorio. Il problema dell’immigrazione si fa per lui quantomai concreto: il sindaco viene infatti interrotto dalla notizia di uno sbarco di 128 immigrati, forse palestinesi, avvenuto proprio in quei minuti nel porto di Catania, dopo una notte di inseguimenti. Il primo cittadino si reca dunque in prefettura.

Una condanna alle misure repressive adottate dall’Italia arriva da Maria Teresa Consoli, direttore LaPoss, che stigmatizza in particolare il recente accordo con la Libia, ritenendo che questa misura abbia diminuito gli sbarchi, ma abbia penalizzato soprattutto i rifugiati politici. «Sono passati 25 anni dall’accordo di Schengen, che consentiva la libera circolazione di persone e merci all’interno dei 28 paesi aderenti – ricorda – ma a che punto è l’Europa con il processo di accoglienza? A fallire non è il multiculturalismo, come sostiene la Merkel in questi giorni, ma l’operato dell’Unione Europea che si occupa solo della politica di respingimento», afferma.

Per evitare una semplificazione del fenomeno, Vincenzo La Monica, redattore regionale  del dossier Caritas, illustra i dati statistici raccolti nell’ultimo anno e insiste nel descrivere il fenomeno migratorio come una grande risorsa per il nostro territorio. «Nell’ultimo ventennio la popolazione immigrata è cresciuta di quasi 20 volte, e senza il suo apporto lavorativo nei settori ritenuti poco appetibili dagli italiani (edilizia, agricoltura, settore familiare), il Paese sarebbe impossibilitato ad affrontare il futuro. Il loro contributo al Prodotto interno lordo è dell’11% e gli immigrati versano alle casse pubbliche più di quanto non ricevano come fruitori di prestazioni e servizi sociali. A Milano i pizzaioli egiziani sono più di quelli napoletani e ogni 30 imprenditori uno è immigrato. La collettività romena è la più numerosa con poco meno di 1 milione di presenze; seguono albanesi e marocchini, quasi mezzo milione, mentre ucraini e cinesi sono quasi 200 mila».

La conclusione dell’incontro è affidata all’assessore comunale alle Politiche Sociali Carlo Pennisi che attribuisce alla sola comunità il compito di sviluppare la propria autonomia, «perché rispetto a questa l’attività dell’amministrazione è solo sussidiaria», ritiene. «La competizione per le scarse risorse pubbliche deve trovare delle regole e compito dell’amministrazione è quello di fornire degli strumenti. E’ l’immigrato a dover sostenere l’immigrato. La sfida sarà quella di portare sul terreno della comunità gli strumenti di solidarietà per costruire una strutura autoregolata».

Se la denuncia dalla cancelliera tedesca Angela Merkel sulla sconfitta del modello multiculturale impone all’Europa una riflessione sulle politiche adottate per il processo di integrazione, qual è la situazione in Italia? La questione viene tirata fuori dal cassetto in campagna elettorale o quando uno straniero diventa protagonista in negativo di un evento di cronaca. Diventa un problema ora di sicurezza, ora di identità culturale da sbandierare, ora di guerra tra poveri. La disinformazione attecchisce sul terreno della paura e genera una guerra tra disperati, perché l’idea che serpeggia è che siano loro a rubarci il posto di lavoro o a scavalcare le graduatorie nell’assegnazione degli alloggi popolari. Argomenti validissimi quando si va alle urne, ma che rischiano di seminare il germe della xenofobia.

Flavia Musumeci

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