Giovanni Impastato, il fratello del giovane che sfidò cosa nostra

Erano più di un centinaio i giovani che hanno assistito, lo scorso 20 ottobre, al dibattito sulla mafia organizzato dai Giovani Comunisti.
Poco importava che la sala fosse piccola e buia, l’ascolto e la partecipazione erano molto alti, e per quanto  siano stati interessanti altri interventi, molti erano lì soprattutto per sentire cosa  aveva da dire Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, il giovane che sfidò cosa nostra e da essa fu ucciso nel 1978 a Cinisi, insomma quello dei Cento Passi, per chi ha la memoria corta, che diceva alla radio: “La mafia è una montagna di merda.”.  
Quella “montagna di merda” della mafia non è morta. E’ più viva che mai. “E’ più forte di prima. Silente, nascosta, infiltrata, assestata. Fa gli affari migliori nel silenzio. Qui in Sicilia, ma non solo. Per questo è importante non abbassare la guardia”. Per farci questa grande rivelazione non ci voleva certo Giovanni Impastato. Però lui è venuto fino a Catania per ricordarcelo. Perchè ricordare certe cose non fa mai male.
La memoria storica è fondamentale per non ricadere negli stessi errori“-ha detto.

Un dibattito intriso di sinistra,  della cultura, dell’ideologia di sinistra, ma che è andato anche oltre il gioco delle retorica politica. Così, il fratello di Peppino ha parlato della sua vita. Della sua vita di fratello-di-eroe-ribelle-ammazzato-dalla-mafia, di fratello di un giovane “incosciente” che ha sfidato il boss di Cinisi, Tano Badalamenti e che in quel maggio del ’78 ha pagato con la vita.
Oggi sono passati tanti anni, la storia di Peppino è diventata un film, e Giovanni-il fratello,  però, il fiato sul collo, della sua storia, della sua terra, lo sente ancora.

Forse lo sanno in pochi, ma un caso a dir poco “curioso” si aggiunge alla famosa vicenda: Giovanni Impastato s’è visto pignorare le quote d’affitto della sua pizzeria per una querela mossa e vinta dall’avvocato del fu Tano Badalamenti, mandante dell’assassinio di  Peppino.
Non ho mai negato di avergli dato dell’imbecille, è successo durante una puntata del Costanzo Show. Senza gridare alla congiura mondiale ho pagato, versando una somma che si aggirava intorno alle 5.228 euro.”.
E spiega: ” L’imbecille era diretto a quanti si ostinano a sostenere la tesi che Peppino è morto mentre cercava di compiere un attentato, pur in presenza di prove contrarie. Mio fratello è stato assassinato dalla mafia e per questo sono maggiormente offensive le parole dell’avvocato che lo definivano un fannullone, incompetente o addirittura terrorista.”.
 
Quasi beffato dalla “giustizia” italiana che ha impiegato 26 anni per riconoscere la morte del fratello come un omicidio, adesso viene condannato dalla stessa per calunnia nei confronti del “difensore  della mafia”. Quindi aggiunge:

Non sempre legalità è sinonimo di giustizia…Ricordiamo che M. Luther King, Ghandi e tanti altri eroi più o meno noti, sono stati dei grandi disobbedienti…”

A scanso d’ogni equivoco, non è certo un invito alla disobbedienza, tanto è vero che Impastato, se pur contrario, alla fine ha pagato la sua condanna…La sua vuol essere  più che altro una provocazione,  una sollecitazione nei confronti di una giustizia molte volte lenta e tardiva, un suggerimento a riflettere sull’uso e abuso, che spesso si fa, di parole come giustizia, legalità, pace.

Durante quella stessa serata, poco dopo il dibattito, sono stati raccolti fondi a sostegno della famiglia Impastato, che, già subito dopo l’ingiusta condanna, s’era vista giungere, inaspettati, concreti aiuti in segno di solidarietà.

Degno di nota è stato anche l’intervento di Piero Mancuso, rappresentante del Centro Ikbal Masih, noto per aver occupato, nel 95, il quartiere di Librino in segno di protesta verso la mafia che da quelle parti “la fa da padrone”…
Non ha avuto paura a dirlo, né ha usato mezzi termini: ” Lì è la mafia che comanda. Quel posto è sede operativa di spaccio. E la cosa grave è che la città non reagisce, la gente se ne infischia!” 

E ancora la segretaria della CGIL, Marano, che denuncia il problema del lavoro nero: ” Cosa nostra penetra ogni giorno di più e visibilmente nella nostra quotidianità. In una terra in cui la disoccupazione è forte, come qui in Sicilia, la mafia si infiltra meglio nel mercato del lavoro.”.

Quali sono i problemi connessi alla mafia, è un fatto alquanto noto. Che “E’ necessario rompere il muro del silenzio”, in teoria, pure…Ma come mettere il tutto in pratica? Cito le parole di Giovanni Impastato e concludo:
La mafia è anzitutto un problema culturale. Combattere contro di essa significa lottare contro una forma mentis radicata in ognuno di noi

Stefania Placenti

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