“Serve un’ operazione verità. Bisogna avere il coraggio di chiedersi se questo Paese poteva consentirsi di annettere il Sud Italia. A 150 anni dall’Unità, bisogna tirare le somme. Non si può più fare finta di niente”. A lanciare la pietra oggi è stato Pietro Busetta, Presidente della Fondazione Curella, nel corso di un convegno andato in scena in una sala della Galleria d’Arte Moderna Sant’Anna di Palermo, nell’ambito delle ‘Giornate dell’Economia del Mezzogiorno’, promosse dallo stesso Busetta e dal Diste.
“Siamo la classe dirigente del Paese- ha rimarcato il Presidente della Fondazione Curella- bisogna chiedersi se l’Italia Unita è riuscita a metabolizzare un’area che oggi ha circa 21 milioni di abitanti e di questi ne lavorano soltanto sei milioni circa, cioè uno su quattro ha un lavoro e in queste cifre è compreso il sommerso quindi anche quelli che lavorano in nero. Per risolvere la questione non ci sono soldi né volontà politica. Non era logico, ad esempio, adeguare la riduzione del cuneo fiscale alle caratteristiche territoriali? Il risultato è lo spopolamento del Sud, tra 20 anni le campagne saranno deserte e gli antichi borghi saranno abbandonati per sempre. Il tutto nella incapacità storica della classe dirigente del Paese.
Un incontro cui hanno preso parte economisti esperti della questione meridionale: Riccardo Padovani e Alessandro Bianchi della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, che da anni tenta di squarciare il velo di Maya che nasconde le vere ragioni del sottosviluppo del Sud Italia. Infatti, alla sollecitazione di Busetta, hanno risposto immediatamente: “Lo Stato dà al Sud Italia molto meno di quello che è il suo peso naturale” ha detto senza giri di parole Padovani. Che ha ricordato come ormai la spesa straordinaria abbia sostituito quella ordinaria e come sia sparita dall’agenda dei Governi nazionali ogni minima traccia di politiche di sviluppo reali.
Basta guardare ai numeri che la Svimez ha mostrato attraverso delle slides che parlano di una quota di spesa pubblica in conto capitale complessivamente effettuata nelle regioni meridionali passata, con un progressivo declino, dal 40,4% del 2001 al 35,9% nel 2012. N
“La spesa complessiva in conto capitale italiana, calcolata a valori costanti del 2012, e’ scesa dai 65 miliardi di euro del 2009 ai 49 del 2012. A livello di ripartizione, la quota del Mezzogiorno sul totale nazionale ha raggiunto nel 2012 il 35,9%. Tale valore corrisponde a livelli di spesa pro capite uguali a quelli del Centro-Nord, ma non assicura al Mezzogiorno un ammontare di spesa in conto capitale più elevato, in grado di favorirne lo sviluppo. Sotto accusa la spesa ordinaria, con unincidenza sul totale del Paese del 27,6%, diminuita dagli 11,5 miliardi di euro del 2010 ai 7,1 del 2011.
Quanto alla spesa aggiuntiva, in forte riduzione nel 2012, è scesa al 67% del totale nazionale, ben al di sotto della quota dell85% che dovrebbe essere raggiunta. Pur essendo cresciuta dai 7,4 miliardi del 2010 agli 8,2 del 2011, sembra aver ormai perso la sua finalità di riequilibrio dei divari territoriali, per assumere il ruolo di riequilibrio della spesa ordinaria”.
Insomma siamo alle solite. Nonostante una pubblicistica infarcita di pregiudizi, la Svimez fa i conti e conferma il disimpegno dello Stato italiano nel Mezzogiorno e condanna la sua politica di austerity: “Non ci si può illudere – sottolinea Padovani – che solo perseguendo la logica dellausterità, alla quale sono state improntate le manovre degli ultimi anni per il riequilibrio dei conti pubblici e la prospettiva di cospicui avanzi primari nei prossimi anni, si possa tornare a crescere”.
Anche perché le manovre dei Governi nazionali hanno pesato al Sud molto più che a Nord Italia, come già dimostrato dalla Svimez in numerose analisi. Siia nell’intervento di Padovani che in quello Bianchi, l’Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno, ha quindi rilanciato la necessità di una logica industriale e di un approccio di sistema nella gestione di progetti che richiede investimenti strategici diluiti nel tempo e una progettazione a lungo termine, sul modello di quella attuata negli anni 50 e 60.
“E’ da allora che la politica industriale meridionale non solo è stata abbandonata, ma è stata ostacolata. E noi della Svimez non solo lo sappiamo, ma lo denunciamo da anni” ha sottolineato a questo punto Bianchi.
I drivers dello sviluppo? Investimenti nella logistica, nelle energie alternative, nelle infrastrutture e nella riqualificazione urbana.
Altro passo necessario per invertire il trend del dissesto meridionale, la revisione dell’impianto dei fondi strutturali “risorse italiane trasferite a Bruxelles che per effetto della politica di coesione europea rientrano solo parzialmente in Italia, e non solo per l’incapacità di gestione dei progetti delle Regioni o dei Ministeri italiani, ma perché strutturalmente una cospicua quota e’ destinata ai paesi non aderenti alleuro, che già godono, a differenza del Mezzogiorno italiano, di misure fiscali vantaggiose e di un’autonomia valutaria per noi impensabile”. Per correggere quindi questa pericolosa distorsione, occorrerebbe calcolare il saldo tra danni e vantaggi fino a realizzare una completa revisione del sistema.
Sullo sfondo della discussione i dati sull’economia siciliana: dal 2008 al 2012 in Sicilia si sono persi 11 punti di PIL e 86mila posti di lavoro, di cui circa 80mila tra giovani under 34, la disoccupazione corretta è arrivata a sfiorare il 33%, e il rischio di povertà è sull’isola quattro volte superiore del Centro-Nord.
Eppure al di là di questi terribili numeri sull’emergenza siciliana e meridionale, “quello che colpisce è il silenzio dei tecnici e dei politici sul tema dello sviluppo, senza il quale non esiste la crescita, oppure l’insistenza sulla supremazia della logica dell’austerità per rilanciare il Paese, mentre occorrerebbe una nuova strategia di politica industriale centrata sul manifatturiero e un approccio di sistema nella gestione dei progetti strategici simile a quella degli anni del dopoguerra per far ripartire tutto il Paese avendo come fulcro il Mezzogiorno”.
Presenti allincontro di stamattina, tra gli altri, anche Marco Di Marco, assessore Sviluppo e Attività Produttive del Comune di Palermo, che si è soffermato sul ruolo che la mafia ha avuto nella storia del sottosviluppo del Mezzogiorno “anche se oggi sono stati fatti grandi passi avanti” e il professor Mario Centorrino, dell’Università di Palermo, con un intervento sulla necessità di ripensare al sistema del welfare contro il welfare no law (senza legge), ovvero quel sistema ‘assistenziale’ fiorito al di fuori di ogni regola: lavoro grigio, fatto di stipendi ufficiali di cui viene corrisposta solo una parte; lavoro nero, ovviamente; economia mafiosa in generale, i falsi invalidi e così via.
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