Gilet arancioni, nell’Isola il movimento del generale Sguardo a destra e il negazionismo della pandemia

Ci sono un generale d’armata dei carabinieri, un agente immobiliare e un uomo di fede. Tutti e tre legati da un unico obiettivo: «Le dimissioni di questo governo e la modifica della Costituzione». Sui piatti della bilancia ci sono da una parte il diritto alla salute e dall’altra la libertà personale. Al centro, l’organizzazione di manifestazioni pacifiche nei capoluoghi di provincia per il 30 maggio, a Catania in piazza Teatro Massimo, e quella a Roma del 2 giugno. Anche se è chiaro, però, come le adunate verranno regolamentate con il nodo del distanziamento sociale.

In mezzo aneddoti, passati legami politici e atti d’accusa. Sono i dettagli di una storia ancora da raccontare e che riguarda la creazione di nuovo soggetto politico: quello dei gilet arancioni. Un nome che richiama la rivolta d’oltremanica dei gilet gialli, su cui però aleggia lo spettro della destra nazionalista: Matteo Salvini e Giorgia Meloni in prima linea. Un fantasma che i sostenitori non pensano due volte a scacciare. «Con noi non c’entrano – spiegano – se vogliono manifestare, prima si devono dimettere». Il movimento, guidato dal generale in congedo dal 2006 Antonio Pappalardo, si pone l’obiettivo «di cacciare via chi ha distrutto la nostra casa – si legge in una mail inviata a MeridioNews come risposta alla richiesta di intervista – per ricostruire un futuro che deve essere radioso per i nostri figli».

A raccontare il dietro le quinte della nascita del movimento «né di destra, né di sinistra che vuole cambiare il sistema», sono i referenti della Lombardia e della Sicilia orientale Paolo Garibaldi e Amedeo Schembri. «Stanno creando un regime che sa di dittatura sanitaria», è l’atto d’accusa di due dei responsabili principali del movimento che su Facebook ha già più di sette gruppi regionali e una pagina nazionale con circa diecimila sostenitori. Il primo si occupa da sempre di sociale e di lotta alla povertà. «Non mi chiami dottore che mi fa sentire importante, io sono il terzo povero d’Italia», risponde.

Addetto alle pubbliche relazioni alla Remar Italia di Milano (onlus che si occupa del recupero degli emarginati in 53 Paesi del mondo), per la quale presta attività di volontariato, Garibaldi è catanese d’origine ma, da cinque anni, vive a Milano «e aiuto la gente sconosciuta», racconta. Un’attività che, nel corso degli anni, ha contribuito anche al suo avvicinamento a diverse realtà politiche: una su tutte Fratelli d’Italia. «Ho conosciuto Giorgia Meloni grazie all’ex assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Mario Mantovani – continua – da allora è nata una bellissima amicizia». Mantovani, ex senatore e parlamentare europeo, all’epoca vicepresidente della Regione in quota Forza Italia-Pdl e tra gli scranni della giunta presieduta da Roberto Maroni.

«Successivamente – continua – ho portato avanti la mia battaglia con Meloni indossando la maglietta azzurra per i cinque milioni di italiani sotto la soglia di povertà». Ma i gilet arancioni, quindi, sono vicini alla destra? «Assolutamente no, noi non siamo né di destra, né di sinistra, né di sopra o di sotto» risponde. Terminata questa parentesi, «dieci giorni fa, grazie a un mio amico, ho conosciuto Pappalardo e ho deciso di intraprendere quest’avventura», spiega. «Garibaldi gode della mia massima stima e fiducia – replica il segretario della Sicilia orientale Amedeo Schembri – per me può fare quello che vuole». A parlare è proprio l’amico che ha organizzato l’incontro.

«Tutto è cominciato pochi mesi fa – racconta – quando ho conosciuto il generale in una videochiamata». Ed è così che Pappalardo pone le basi per un riferimento provinciale etneo. «Stiamo vivendo una finta pandemia – afferma Schembri -, con gli arresti domiciliari». Una teoria strampalata non sostenuta da prove scientifiche che resta una chiacchiera da bar

Il 30 maggio i gilet arancioni etnei scenderanno in piazza Teatro Massimo per esprimere il proprio dissenso. «Una manifestazione pacifica – spiega – per testimoniare il nostro voto in presenza di un notaio». L’intento è quello di creare un’assemblea costituente. Capitolo a parte, invece, merita la manifestazione del 2 giugno a Roma, perché a contendersela ci sono anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni. «Non sono con noi – afferma sicuro il segretario siciliano – loro si fanno la loro manifestazione, noi ci facciamo la nostra». Ma a complicare il quadro resta la scelta della piazza. «Si è discusso tra piazza del Popolo e piazza del Pincio, lo vedremo in corso d’opera». Crede che la manifestazione riscuoterà consensi e successo? «Consideri che il mio Facebook è invaso – ammette – Sto ricevendo la media di dieci richieste di amicizia al giorno».

Gabriele Patti

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