Non c’erano Salvo Vitale, assessore al Bilancio, e Francesco Longo, presidente del Consiglio comunale. Nel giorno più triste per il Comune di Giarre, quello in cui il senato cittadino ha deliberato il dissesto economico-finanziario, mancavano dall’aula due delle principali cariche istituzionali. Il primo assente perché fuori sede, il secondo in malattia. In aula consiliare si dibatte quasi più del fatto che loro non ci siano che della delibera che, poco prima dell’una di notte, passa con 12 voti favorevoli e tre astenuti. Sancendo, di fatto, sia la mancanza della maggioranza per il sindaco civico Angelo D’Anna sia la sconfitta dei tentativi di questi anni di ripristinare conti che, di anno in anno, sono andati sempre più in rosso.
La seduta sarebbe dovuta cominciare alle 20. Ma prima delle 21 nella sala consiliare non c’è nessuno. Quasi tutti sono nella stanzetta accanto, a discutere con i revisori dei conti che, solo nella serata dell’11 luglio, poco prima dell’inizio del Consiglio, hanno depositato la loro relazione sul da farsi. Il documento viene letto al pubblico, poi viene chiesta una sospensione per permettere agli eletti di studiare le carte. Una sospensione di quindici minuti – che in realtà diventano di più – per leggere le sette pagine che compongono il parere dei commercialisti comunali. A volere fare i conti, al Consiglio comunale giarrese toccano due minuti per comprendere ciascuna delle pagine che dovrebbero spiegare lo stato delle finanze municipali.
«È importante che la cittadinanza sappia che siamo costretti a farlo, non abbiamo alternativa», dichiarano uno dopo l’altro tutti i consiglieri che intervengono in aula. Dalla maggioranza all’opposizione, le variazioni sul tema sono veramente poche: tra chi attribuisce l’intera responsabilità del tracollo all’amministrazione guidata dall’ex sindaco giarrese Roberto Bonaccorsi, colui che ha varato il piano di riequilibrio meglio noto come SalvaGiarre. E chi, invece, fa risalire le colpe ancora più indietro, arrivando alla giunta autonomista guidata da Teresa Sodano e pure più in là. «Non è un dissesto tecnico, è un dissesto politico», attacca il sindaco D’Anna, facendo riferimento a presunte ingerenze palermitane. Le stesse che avrebbero spinto l’assessorato alle Autonomie locali a inviare al Comune, venerdì 6 luglio e pochi minuti prima della chiusura degli uffici, la dura lettera che imponeva ai consiglieri di deliberare il default, dando loro il termine stringente di dieci giorni.
Una missiva piuttosto strana sotto diversi punti di vista: in primo luogo perché cita un articolo del Testo unico degli enti locali che stabilisce che sia la prefettura a chiedere ai Consigli comunali di dichiarare il dissesto, e non la Regione. Poi perché sempre il Tuel stabilisce il limite massimo di venti giorni per la deliberazione, mentre l’assessorato regionale ne concede la metà. Infine perché nel documento siglato a Palermo si cita il caso di un’amministrazione che non abbia approvato nei termini il piano di riequilibrio economico finanziario, e non – come nella fattispecie di Giarre – che non lo abbia rispettato. Nessuna di queste obiezioni, però, arriva in aula. E quando, a mezzanotte passata, si esaurisce il tempo per le dichiarazioni di voto e finisce di relazionare anche il sindaco, il voto è rapidissimo: favorevoli? Dodici mani alzate. Astenuti? Tre. Il totale dei presenti in aula è raggiunto, il dissesto del Comune di Giarre deliberato.
Adesso cosa dovrebbe accadere? Né il sindaco né la sua giunta né il Consiglio comunale rischiano la decadenza. Rimangono in carica, affiancati da un organismo di liquidazione composto da tre persone che avrà potere ispettivo su tutto quanto avverrà nel palazzo del municipio. Le aliquote delle tasse rimarranno al massimo e non potranno scendere per i prossimi cinque anni, i servizi a domanda individuale (assistenza agli anziani, scuolabus, servizi sociali…) dovranno essere pagati del tutto o in buona parte dai cittadini, non potranno essere stipulati nuovi contratti, i pignoramenti non potranno essere eseguiti e chi avanza crediti nei confronti del palazzo di città dovrà accettare l’idea di vedere solo una parte dei soldi che gli spettano.
C’è poi la questione strettamente legata alla politica: una volta deliberato il dissesto, la Corte dei conti dovrà stabilire quali amministratori ne hanno la responsabilità. Quelli che saranno ritenuti colpevoli, anche in primo grado, «non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati».
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