Giancarlo Caselli, una vita per la Giustizia

Un uomo la cui unica e sola parola d’odine nella vita è sempre stata ‘Giustizia’. Una parola spesso scomoda, difficile, ma nella quale ha creduto fortemente nella sua lunga carriera. Gian Carlo Caselli, un uomo e un magistrato spinto da una forte e convinta motivazione: essere utile alla collettività. Dal 1993 al 1999, lo si vede nelle vesti di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Anni difficili per una città messa ogni giorno in ginocchio dalla mafia. Ma anche anni in cui più che mai il suo intervento risulta essere utile e di forte riscatto.
Di quegli anni si ricordano gli arresti di tanti boss mafiosi di grosso calibro: per esempio, di Leoluca Bagarella, Gaspare Spatuzza, Giovanni Brusca. Da allora Caselli rimarrà legato alla città di Palermo. Saranno sette anni che mai dimenticherà.
“Questa città – dice oggi Caselli – è stata per me un pezzo centrale della mia vita, mia moglie mi rimprovera spesso di soffrire di mal di Palermo”.
Oggi, dopo l’ondata di arresti legati al movimento dei No Tav, che gli sono costati minacce ed intimidazioni, torna nel capoluogo siciliano per presentare il suo nuovo libro, ‘Assalto alla giustizia’, in un pomeriggio blindato alla libreria Feltrinelli.

Nella sua vita quando ha deciso di intraprendere la carriera di magistrato? E con quali motivazioni?

“La mia scelta arriva in una stagione in cui si stava scoprendo come strumento operativo, e non soltanto come parola scritta, ‘La Costituzione’. Quindi vedevo la possibilità, anche per chi fosse chiamato a fare il magistrato, che con la Costituzione alla mano si potesse concorrere a qualcosa di utile. La speranza almeno era quella di riuscire a fare qualcosa di utile per la collettività, per gli interessi generali, per la crescita di chi ne aveva maggiormente bisogno, in diritti di uguaglianza per come cita l’articolo 3, primo capoverso della Costituzione. Questa la principale molla per la quale poi ho fatto questa scelta”.

Se oggi dovesse spiegare a un bambino cos’è la mafia?

“Direi certamente violenza, prepotenza, prevaricazione, sopraffazione, sfruttamento. E siccome parliamo di un bambino, tutte le peggiori cose per quanto riguarda i rapporti tra persone. Quando qualcuno si considera superiore, non si sa bene in base a che cosa, e in base a questo si ritiene legittimato a schiacciare gli altri come fossero delle nullità. Ecco, questa è la bestialità, la ferocia, la prepotenza della mafia. Il bambino queste cose credo non faccia poi tanta difficoltà a comprenderle, specialmente quando si tratta di prendere a calci a pugni, se non addirittura uccidere chiunque la pensi diversamente da lui”.

Nel suo scritto insieme a Antonio Ingroia (a sinistra, foto tratta da corrieredisciacca.it), ‘L’eredità scomoda’, si evince l’idea che la mafia si può sconfiggere nonotante tutte le illusioni e disillusioni cha la dura lotta a ‘cosa nostra’ porta con sé nella storia. Questo libro è stato pubblicato nel 2001. Oggi la sua idea rimane la stessa?

“Ingroia ed io stiamo giusto di questi tempi pensando di riscrivere questo libro, e proprio perché convinti, ora come allora, che la mafia si possa sconfiggere e che una delle premesse indispensabili per poi arrivare a tale risultato sia conoscere, e fare memoria, ricordare le cose che sono andate per il verso giusto e anche quelle che invece sono andate storte. Affinché le prime possano ripetersi, ma le seconde no”.

Giusto quest’anno l’ondata di arresti legati al movimento della Val di Susa, i cosiddetti No Tav. Le polemiche. La presentazione del suo libro a Milano annullata per evitare problemi di ordine pubblico a seguito delle numerose minacce scritte sui muri…

“Sono scritte vergognose, incivili. Il fatto stesso che qualcuno ritenga di poter scrivere sui muri che Caselli è un boia torturatore, un mafioso è intollerabile. Io ho lasciato Torino, dove facevo il presidente di Corte d’Assise per venire a lavorare a Palermo, ben sapendo quello che avrei trovato. Una scelta che ho fatto volontariamente e spontaneamente, convinto che in quel momento fosse davvero la cosa giusta da fare. La ventunesima verità scomoda di Falcone e Borsellino, i due insieme ad altri nostri colleghi poliziotti e carabinieri trucidati dalla mafia. Essere definito mafioso da qualche imbecille, per dire davvero poco… è una cosa che semplicemente mi indigna, ma non tanto perché è un’offesa fatta a me, quanto perché questi attacchi sono il rifiuto della giurisdizione, si inseriscono anch’essi nell’assalto alla giustizia. C’è gente, nel nostro Paese, compresi questi signori che scrivono delle oscenità sopra i muri, che non vuole accettare il semplice fatto che il magistrato faccia il proprio dovere senza eccezioni per questo e per quello, vogliono che la legge sia uguale soltanto per gli altri”.

Parliamo della protesta dei No Tav.

“La protesta di chi è contro il Tav è rispettabile, purché mantenuta nei limiti dell’osservanza della legge, affinché sia legittima. In un ordinamento democratico, la protesta deve essere garantita e assicurata. Ma se alla protesta si affiancano comportamenti violenti, ebbene, il magistrato non può far finta di niente, non può girarsi dall’altra parte. Chi questo lo pretende con le scritte oscene sui muri, o organizzando dei blitz per togliere il diritto di parola ad un cittadino comune, per come sono io, bene – e lo dico senza mezzi termini – questo è squadrismo”.

La violenza va bandita. Però la Tav dà luogo a polemiche. Marco Travaglio, in una bellissima inchiesta, ha dimostrato l’inutilità economica della Tav…

“Io dico semplicemente che i No Tav possono avere tutte le ragioni di questo mondo e forse anche più. Ma se non isolano i violenti, anche se hanno ragione si mettono dalla parte del torto”.

Lei, dal 1993 al 1999, a Palermo, ha ricoperto la carica di Procuratore della Repubblica. Un periodo importante, per la sua vita professionale.

“Il ruolo importantissimo è consistito soprattutto nello sforzo, credo riuscito, di fare squadra. Nessuno al mondo, da solo, è mai riuscito a fare qualcosa, soprattutto nella lotta alla criminalità organizzata. Per fare qualcosa di importante nella lotta alla mafia bisogna essere in tanti, stare insieme, fare un lavoro comune. Questo il merito che credo debba essermi riconosciuto. Arrivo a Palermo in un periodo in cui la Procura si trova in grossa difficoltà, il Palazzo di Giustizia è ancora il ‘Palazzo dei veleni’, svolazzano ancora qua e la quelli che allora si chiamavano i ‘corvi’. Credo di essere riuscito a ricomporre un’ unità di intenti e di azione. E grazie a questa squadra coesa si sono ottenuti risultati importantissimi. Latitanti arrestati come mai in precedenza, processi con condanne giuste, 650 ergastoli a mafiosi doc, anche processi con imputati eccellenti e complici della mafia, con risultati spesso favorevoli all’accusa. Diecimila miliardi di vecchie lire il valore complessivo dei beni sequestrati alla mafia in quegli anni; beni che poi sono stati in seguito destinati ad attività socialmente utili. Non dobbiamo dimenticare che il nostro Paese, al momento delle stragi del 1992 e del 1993, era in ginocchio, e sembrava che avessero vinto i mafiosi. Invece tutti quanti assieme siamo riusciti a risollevare la testa, ad invertire la tendenza, ed eccoci qua: se oggi possiamo parlare di mafia, sia pure come di un problema ancora grave ed esitente, è perché abbiamo impedito alla mafia di travolgerci e di farci precipitare chissà dove”.

Come andarono realmente le cose nel 2005, con la nomina a Procuratore nazionale Antimafia, carica poi assunta da Piero Grasso?

“Scadde il mandato del vecchio Procuratore nazionale antimafia. Il consiglio superiore della magistratura, come sempre, bandisce un nuovo concorso. Per gli interessati bastava presentare domanda. Presento regolarmente domanda insieme con tanti altri colleghi. La presento una prima volta e poi una seconda volta. Ad un certo punto, a partita aperta, le regole cambiano. Certo, cambiare le regole a partita aperta, quando le bocce sono già in movimento, è una cosa davvero anomala, in un qualunque Stato democratico, in un qualunque Stato di diritto. Beh, questo invece è avvenuto: ad un certo punto, quando il Consiglio superiore della magistratura aveva già programmato la nomina di Procuratore nazionale antimafia, arriva una legge, cosiddetta ‘contra personam’, proprio contro di me: tale legge stabiliva che per assumere tale ruolo bisognava non aver compiuto una certa età, che io guarda caso avevo appena compiuto; e allora ecco che il Consiglio superiore della magistratura mi cancella dall’elenco degli aspirantie e vengo fatto fuori da questa legge ‘contra personam’, legge che – è stato pure detto e scritto – veniva motivata dalla necessità di farmi pagare il processo contro Andreotti (a sinistra, foto tratta da bastonate wordpress) . Un caso alquanto strano, dato che tale processo con sentenza di Cassazione si è concluso con l’affermazione di penale responsabiltà di questo imputato fino al 1980, per aver commesso un delitto molto grave: ‘associazione a delinquere con cosa nostra’, delitto commesso ma prescritto per il tempo trascorso. Quindi, in effetti, c’è l’affermazione di colpevolezza di reponsabilità penale, ma non la condanna. Ma nonostante ciò io ho dovuto pagare con questa legge, che oltretutto pochi anni dopo è stata dichiarata incostituzionale, ma ormai i giochi erano fatti. Un paio di anni dopo Pietro Grasso lo disse pure”.

Il suo libro, ‘Assalto ala Giustizia’, ha come scenario un Paese in cui Silvio Berlusconi non è più capo del governo. ma ciò nonostante ne rimangono le tracce. Si parla anche di un governo per il quale magistrati rigorosi che lottano per concorrere alla giustizia vengono considerati malati di mente, golpisti ed eversivi: per dirla in breve, soggetti da spianare…

“E’ la pura realtà di questi ultimi vent’anni. C’è qualcuno che non accetta di essere sottoposto al controllo di legalità come un cittadino qualunque, e se c’è un’inchiesta, un processo che lo riguarda fa di tutto per conseguire l’impunità. Difendendosi non tanto dal processo, ma ‘assaltando la Giustizia’ in tutti i modi, con insulti, calunnie ed intimidazioni, cambiando le leggi in corso d’opera e via seguendo. Questa è la dura verità e la storia di questi ultimi vent’anni, che non è finita perché le sue tossine sono entrate così bene nel nostro Paese che ci vorrà del tempo affinché scompaiano, se mai scompariranno. Stiamo parlando di un vero e proprio ‘assalto alla giustizia’, e tutti i capitoli del libro lo dimostrano, a ciascun capitolo si fa precedere una citazione per dimostrare e documentare che certe cose sono state dette e fatte, cose che magari oggi si dimenticano, ma il mio intento è proprio questo: personalmente spero che con questo libro certe cose rimangano impresse”.

Un libro, il suo, che vanta la prefazione di Andrea Camilleri.

“Questo devo proprio dirlo, è veramente un preziosissimo regalo di Andrea Camilleri. Anzi, voglio dire una cosa: se qualcuno mai fosse interessato al libro, quando lo avrà tra le mani si fermi pure alla prefazione. Perché la prefazione vale tutto il resto, è il culmine del libro stesso”.

Quale consiglio darebbe ad un ragazzo che oggi vuole intraprendere il mestiere di magistrato?

“Direi che finché la magistratura rimane autonoma ed indipendente come lo è oggi, grazie alla nostra Costituzione, questo è un mestiere bellissimo. Anche se difficile, faticoso, tormentato, con luci ed ombre. Un mestiere dove possono sorgere polemiche, spesso furibonde. Ma, nonostante tutto questo, è un mestiere che ti consente di provare a fare qualcosa di utile per gli altri. Certo, se dovessero cambiare le leggi, e per legge dovesse esserci qualcuno che può dirti cosa fare e cosa non fare, il discorso cambierebbe. Oggi come oggi, la magistratura italiana è autonoma e indipendente come in qualunque altro Paese europeo, ed è un mestiere che vale la pena fare se qualcuno gode di questa ambizione”.

foto di Giancarlo Caselli tratta da agorascuolalaterza.it

 

 

 

 

Carla Andrea Fundarotto

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