Come ampiamente previsto anche i difensori si allineano all’accusa con la richiesta «di non luogo a procedere, perché fermamente convinti dell’innocenza dei nostri assistiti». Ovvero 34 consiglieri del Comune di Catania e 17 segretari, accusati a vario titolo di truffa, falso in atto pubblico e abuso d’ufficio. Il tutto concentrato in una parola: gettonopoli. Termine diventato una costante nella cronaca italiana quando si fa riferimento agli enti pubblici e ai gettoni che si percepiscono per le presenze nelle commissioni consiliari. Quello di Catania è soltanto uno dei casi emersi negli ultimi anni. Da Messina, passando per Aci Catena, fino a Siracusa c’è un esercito di persone indagate, rinviate a giudizio e, in alcuni casi, condannate in primo grado. La vicenda del capoluogo etneo nasconde però risvolti particolari, culminati con l’imputazione coatta disposta dal presidente dei giudici per le indagini preliminari Nunzio Sarpietro.
La scelta ha fatto discutere anche perché in contrasto con la linea dell’accusa. I magistrati hanno dapprima chiesto l’archiviazione del caso e, all’udienza di fine giugno, il non luogo a procedere. L’ultima parola, dopo che nel corso della prossima udienza toccherà ai legali di chi ha scelto il rito abbreviato, spetterà al giudice Carlo Umberto Cannella. Fermo restando che, come sottolineato dal magistrato Fabio Regolo, secondo l’accusa «non ci sono i presupposti per sostenere il dibattimento di un processo».
Visione differente rispetto a quella del presidente dell’ufficio gip Sarpietro che, senza giri di parole, scriveva di «una pratica dal carattere prettamente singolare, se non clientelare, in base alla quale i singoli consiglieri comunali si abbandonavano a un turbinio di partecipazioni a molte commissioni consiliari permanenti». Nell’udienza di oggi c’è stato spazio anche per le dichiarazioni spontanee di due imputati. Da un lato la segretaria Daniela Catalano e dall’altro il consigliere comunale Alessandro Messina. L’uomo ha criticato l’accostamento suo e dei colleghi a «una banda», sottolineando l’eco mediatico del processo. Nato dopo la denuncia del Movimento 5 stelle che ha analizzato i verbali delle commissioni consiliari del 2014.
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