Un’idea nata cinque anni fa: raccontare San Berillo partendo dalle opere di Goliarda Sapienza. Un progetto che, però, si è modificato grazie alle sette protagoniste del documentario Gesù è morto per i peccati degli altri della regista catanese Maria Arena. Franchina, Meri, Alesia, Marcela, Wonder, Santo e Totino. Trans, travestiti e una donna; anime che si muovono tra le pietre del quartiere storico noto soprattutto per essere la zona a luci rosse di Catania. «Ho incontrato Maria cinque anni fa. Voleva raccontare quello che aveva letto dalle pagine di Goliarda Sapienza», racconta Josella Porto, sceneggiatrice anche lei etnea. Il progetto, però, rimane bloccato per due anni in attesa di finanziamenti. «La situazione non cambiava – ricorda Porto – Così abbiamo deciso di reinvestire i nostri guadagni. Ci tenevamo a fare un lavoro nel quale tutti venissero retribuiti». Oltre al lato artistico e produttivo, le due donne diventano anche produttrici. Il documentario è stato concluso anche grazie al crowdfunding. «È stato un processo molto strano – confessa – Dall’intento di raccontare il quartiere, abbiamo conosciuto per un anno le sette protagoniste. Loro si sono fidate e affidate. Ci hanno permesso di entrare nelle loro case perché non abbiamo mai espresso alcun giudizio».
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Gesù è morto per i peccati degli altri oggi verrà presentato al festival dei Popoli di Firenze. «Diciamo sempre che i film sono degli spettatori e non vediamo l’ora di consegnarlo a loro». Ancora non c’è una distribuzione, ma le speranze di far entrare il documentario nel circuito dei cinema passa proprio per la Toscana. «Vogliamo che arrivi a Catania e portare le nostre protagoniste in giro per l’Italia». Sette personalità con caratteristiche spiccate: «Meri canta, Franchina scrive, Wonder ha una presenza scenica che cattura. All’inizio c’era diffidenza e imbarazzo, poi si sono sciolte e hanno iniziato a darci spunti e consigli. La voglia che abbiamo percepito è “Io mi voglio raccontare”».
I punti centrali del documentario sono tre feste cristiane: la Madonna del Carmelo (a luglio), Sant’Agata e la Pasqua. «Man mano che ci conoscevamo a vicenda, ci siamo rese conto che vivono in maniera molto intensa la religione. Ci hanno insegnato a vederla con i loro occhi; leggere il Vangelo con loro è stato un momento indimenticabile». Una contraddizione? «Chisti su buttani e criruni o Signuri». Franchina ripete le parole di quanti si stupiscono del loro attaccamento alla religione. Nulla di strano: «Anche santa Maddalena era una prostituta». E, sottolinea Porto, «quasi nessuno di loro si pente delle scelte fatte».
Nei mesi dedicati alle riprese «abbiamo conosciuto famiglie, festeggiato compleanni, fatto assieme a loro le visite mediche», ricorda Josella Porto. «La cosa più bella è scoprire che un quartiere fatto di pietre si anima grazie a queste persone. Loro là, ci sono, sono vive», scandisce. Ma troppo spesso il muro di pregiudizi è difficile da abbattere. «Durante un periodo elettorale è stato organizzato un corso per badanti – racconta la sceneggiatrice – Un progetto in regola, hanno preso il diploma. Ma non sono riuscite a lavorare, perché sono viste sempre come prostitute».
Eppure, nel dedalo di stradine sconosciute ai più si raccontano storie che fanno parte del dna della città. «Si può convivere con la diversità nella vita. Il quartiere a luci rosse esisteva anche ai tempi di Goliarda: una volta c’erano prostitute e artigiani, oggi ci sono prostitute e avvocati. La prostituzione esiste – prosegue – E loro vogliono pagare le tasse, perché potrebbero avere dei servizi. Su questo tema fanno le sindacaliste, con dei discorsi lucidissimi», ride. Quello che molti cittadini vedono come un elemento negativo, per la sceneggiatrice è una risorsa. «È il cuore di Catania, è bello portarlo in giro – sostiene – Per me il concetto di diversità, vissuto come ricchezza, è racchiuso a San Berillo, e ne sono orgogliosa come catanese».
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