Gesip, prendere i soldi dalla tabella H

In queste ore, sulla situazione di Palermo, se ne dicono e se ne sentono di tutti i colori. I dipendenti dell’Amia hanno ripreso a raccogliere l’immondizia, non prima di aver fatto capire al commissario del Comune, Prefetto Silvia Latella, e al consiglio comunale che c’è poco da ‘babbiare’ (scherzare per i non siciliani). E che se non si trovano i soldi per pagare gli stipendi mettono in ginocchio la città non con un mese di scioperi, ma bloccando la raccolta dei rifiuti per cinque giorni. All’Amia ci sono troppi dipendenti. Ciò nonostante, se la società riuscisse a incassare i crediti vantati, di fatto, verso i Comuni che, in questi anni, hanno conferito i rifiuti nella discarica di Bellolampo, l’Amia non avrebbe tutti questi problemi.

All’Amat i dipendenti sono pure in rivolta. Il motivo è sempre lo stesso: la crisi finanziaria. Lì c’è un deficit non eccessivo. Ma c’è un credito, verso il Comune di Palermo, di oltre 100 milioni di euro. Il Comune è in ‘bolletta’ e non paga. E ne fa le spese l’Amat. La verità è che la crisi politica e finanziaria della Regione – e la mancanza di un governo che governi per davvero – crea una catena di effetti negativi che si ripercuotono su tutta la società siciliana, a cominciare dai Comuni.

Dall’attuale governo regionale, al di là delle chiacchiere, non è arrivata una serie riforma della racconta dei rifiuti. Tant’è vero che, in tre anni, non abbiamo ancora capito se la Sicilia avrà o no i termovalorizzatori. Per ora ‘unica cosa che funzionano sono le discariche, spesso tecnologicamente arretrate o pericolose perché già sature (come quella di Bellolampo a Palermo). Mentre i debiti degli Ato rifiuti, lungi dall’essere stati azzerati, sono cresciuti. L’Amia, come già ricordato, è in crisi per le folli stabilizzazioni degli anni passati, ma anche per i già citati mancati introiti da parte di un bel gruppo di Comuni del Palermitano.

Più complesso lo scenario della Gesip. In questa società i lavoratori non sono garantiti. Sono circa mille e 800. Dall’1 aprile saranno a spasso. E, ovviamente, non ci stanno. Qualcuno dice che a pagare potrebbe essere la Regione siciliana. O lo Stato. La Regione dice di essere in deficit. E, in effetti, sulla ‘competenza’, presenta un ‘buco’ di circa 5 miliardi di euro. Va meglio sulla ‘cassa’. Non è vero che la Regione non ha i soldi per pagare i dipendenti Gesip. Basterebbe stornare verso la società il 50 per cento dei fondi della ex tabella H.

In tabella H – parliamo del bilancio della Regione – ci sono tutti i contributi ad enti, associazioni, fondazioni e via continuando. I due terzi e forse più di questa tabella H sono clientele. Togliendo alla tabella H il 50 per cento non morirebbe nessuno. E siccome in tabella H ci sono quasi 43 milioni di euro, i mille e 800 dipendenti della Gesip avrebbero le indennità assicurare per quattro-cinque mesi ogni anno. Non è una cosa di poco conto. Gli altri soldi potrebbe tirarli fuori Roma – anzi, secondo noi, deve approntarli il governo nazionale – e la questione sarebbe risolta.

Ciò posto, va detto che il problema del precariato di Palermo non può essere risolto aumentando tasse e imposte a una città già allo stremo. Oggi, dal consiglio comunale, ci si aspettava il raddoppio dell’addizionale Irpef. Che avrebbe fatto arrivare nelle esangui ‘casse’ del Comune una decina o forse più di milioni di euro. Il consiglio comunale ha invece preferito stornare 2,5 milioni di euro o giù di lì dall’Amap all’Amia.

Si tratta di una soluzione che non risolve i problemi. Fermo restando che la prossima amministrazione comunale dovràà trovare una soluzione per tutti i precari – per tutti, anche per quelli della Gesip – bisogna trovare un modo per impedire alla politica, nel futuro, di creare nuovi precari.

A Palermo – ma non soltanto a Palermo – c’è chi deve le proprie fortune elettorali al precariato. E questa è un’altra follia. E’ un capitolo che va chiuso, quello del precariato. Prevedendo, se è il caso, sanzioni severissime per chi lo fomenta. Magari l’allontanamento forzato dalla politica e, in generale, dalla gestione della cosa pubblica. E, perché no?, anche – con opportune leggi – l’eventualità di colpire gli amministratori pubblici che ‘giocano’ con il precariato facendogli pagare anche il costo economico dei danni che hanno prodotto. In pratica, chiamando il politico o l’amministratore e rispondere in solido.  Sarebbe una bella rivoluzione. A Palermo e,in generale, in tutta la politica siciliana.

Giulio Ambrosetti

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