Geraci Siculo, cuore antico delle Madonie

di Alessandro Amante

“Sono passati molti anni, ma la meraviglia e l’incanto che ebbi quando a Geraci Siculo l’Arciprete aprì il vecchio armadio nella sagrestia della Chiesa Madre per mostrarmi quel ricchissimo tesoro, io non li ho più riprovati neanco dinanzi ai tesori più favolosi di Roma o di Assisi, di Vienna o di Londra.(…). Tutto pareva plasmato da una sola mano, pareva soggetto allo stesso medianico incantesimo”.

Con queste parole trapuntate di emozione e descrizione appassionata si espresse Maria Accascina, storica dell’arte, parlando dei tesori delle Madonie racchiusi nel tempio di Geraci. Ma i ”Tesori” di Geraci Siculo, meta a volte poco nota ai turisti, non si trovano custoditi solo all’interno della Chiesa Madre, ma è lo stesso insediamento, di origine medioevale, che rappresenta da solo un gioiello prezioso e incontaminato insieme al territorio circostante. (a sinistra, foto di Geraci Siculo, tratta da foto.indettaglio.it)

Geraci, si presenta così, come borgo inerpicato su un rilievo roccioso, la cui posizione strategica fu determinante nella scelta del posto dov’è fu ubìcato il Castello; la zona pianeggiante intorno rendeva, infatti, visibili eventuali attacchi nemici. Il castello fu il perno centrale attraverso il quale poi si è snodata e si è ricamata, come un intreccio perfetto, tutta la storia di Geraci. Se tuttavia le vestigia del castello e della torre sono ancora presenti, delle mura non restano che poche tracce.

L’abbeveratoio della SS. Trinità, posto all’inizio del paese, e fatto costruire dal Marchese Simone di Ventimiglia, è il primo incontro con questo luogo, icona perfetta del connubio tra natura e arte sulla rocca indomita del Conte di Geraci. L’acqua che ne sgorga, proviene dalle copiose sorgenti diffuse su tutto il territorio e che da esso, ne ha acquisito il nome commerciale oramai diffuso ovunque.

Circa quattromila mattoni a cuneo, smaltati con curve, disegni a fasce, rombi concentrici e motivi a zig zag svettano sul caratteristico campanile a conci policromi della Chiesa di S. Stefano (foto a destra, tratta da siciliaindettaglio.it) proprio all’inizio del paese, e conferiscono un’armonia cromatica perfettamente integrata nel paesaggio madonita. La chiesa, che oggi è adibita anche ad Auditorium, è una delle poche che presenta una struttura a croce greca irregolare risalente al primo Seicento.

In questa mattinata di fine Giugno il clima è mite, la temperatura di 17 gradi è invitante e salire su, lungo il viale principale, quasi deserto, conferisce una piacevole sensazione che trova conforto nel giungere alla piazza del paese, proprio innanzi la Chiesa di Santa Maria Maggiore, col suo portale ogivale in pietra, in fase di restauro, la cui costruzione risale alla metà del XIV secolo.

Indispensabili e preziose diventano a questo punto le informazioni che ci impartisce la nostra guida, il consigliere comunale Pippo Neglia che insieme al singolare contributo, cognitivo e umano, del Sindaco neo eletto, al secondo mandato, Bartolo Vienna, hanno conferito al nostro viaggio una dimensione diversa, all’insegna della generosità che contraddistingue i geracesi e che ci ha fatto sentire in ogni momento sempre a nostro agio.

La Chiesa madre anticamente non aveva le attuali dimensioni che furono poi ingrandite determinando un radicale mutamento dello stile che ha lasciato immutato invece lo stile barocco delle cappelle laterali. Il coro ligneo risale al 1650 ed è formato da 19 posti a sedere con motivi tipici e pannelli dipinti che riproducono la vita di Gesù e della Madonna: da qui si accede alle stanze che contengono il tesoro della parrocchia.

Confusi da questa bellezza senza tempo, usciamo dal tempio principale di Geraci per essere accolti dalle poche suore dell’edificio che si affaccia sempre sulla piazza, la Chiesa del Collegio di Maria, sorta nel 1738, dotata di un’unica navata, ornata con stucchi a rocaille in oro ma ahimè inagibile e in attesa da anni di essere riportata ai fasti del passato.

Salendo su, per i vicoli di questo incantevole borgo medioevale, si giunge al castello; nonostante il maniero sia oramai crollato, le poche strutture fatiscenti “suggeriscono l’immagine di un eccezionale baluardo frutto di un originale commistione di opere difensive create dall’uomo e fornite dalla natura”.

La Chiesa di S.Anna al castello, si ritiene sia la cappella palatina dei Ventimiglia, e la sua storia sembra indissolubilmente legata alla vicende storico-culturali del signore di Geraci.

Un incontro delicato e pieno di sottili emozioni è quello legato alla visita della Chiesa di San Giuliano, annessa al monastero delle Benedettine, oramai ridotte a poche unità. Nel 1866 il Monastero, in seguito alla soppressione degli ordini Religiosi da parte dello Stato, perdeva tutti i beni immobili ma nessuno osò mai allontanare le monache ivi residenti che ancor oggi sono amate e stimate da tutti.

Nella parte bassa del paese ci si appresta invece a tuffarsi in un altro viaggio nel tempo attraverso la visita guidata del convento dei Padri cappuccini la cui prima pietra fu posta nel 1689 su ordine del marchese di Geraci. Posto su 2 livelli, tutti costruiti con pietra del luogo, l’edificio si snoda a ferro di cavallo con al centro uno spazioso cortile, al cui interno, nel refettorio che fù dei cappuccini è possibile scorgere due straordinari affreschi settecenteschi, raffiguranti l’ultima cena e la Crocifissione. Al piano superiore le celle dei cappuccini, orfane delle preghiere dei precedenti inquilini, accolgono tra gli altri oggetti di pregio, il museo dei mestieri, ben 1516 volumi dell’antica libreria dei frati cappuccini e una delle cinque copie esistenti al mondo del libro di Federico II sull’arte venatoria con gli uccelli, un manuale per l’allevamento e l’addestramento, nel quale il sovrano si rivela esperto in nutrizione, medicina, custodia dei rapaci.

Prosegue il nostro viaggio: con il solo sguardo sfioriamo la Chiesa di San Bartolomeo (foto a destra, tratta da wikipedia) per la quale, a breve, è prevista la realizzazione di un progetto di riqualificazione.

Il tragitto che ci porta a Piano Cixè, nella riserva del Parco delle Madonie, è breve: d’un tratto ci troviamo a ben 1400 metri di altezza, dove i rumori del nostro vivere sono lontani, dove ogni aspetto della nostra quotidianità è ridotto al minimo, all’essenziale e si respira un’aria diversa. La nostra cornice non è più ora l’arte prodotta dalla mano dell’uomo e tramandata nei secoli ma quella che nasce dal divenire della natura: fronde di ginestre di cupani, cespugli di agrifogli e ciuffi di felci anticipano un faggeto nella cui ombra segreta e rinfrescante ci immergiamo senza riserva alcuna. Greggi di armenti sono i protagonisti di questo luogo incontaminato che ancora una volta ci sorprende con la sua bellezza solo raccontata e impone al lettore, che non ha mai visitato questi luoghi, di includere nel suo prossimo itinerario di viaggio un soggiorno a Geraci.

Redazione

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