Venerdì per il futuro. È questo il nome dello sciopero scolastico per il clima nato da un movimento internazionale di protesta fatto da alunni e studenti che decidono di non andare a lezione per scendere in piazza a manifestare per chiedere e rivendicare azioni per prevenire il riscaldamento globale e il cambiamento climatico. Sulla scia di Greta Thunberg – l’attivista svedese di 15 anni che con la sua protesta ha fatto tremare i leader mondiali alla conferenza per il cambiamento climatico – anche a Catania gli studenti sono hanno dato vita a una mobilitazione.
Si sono dati appuntamento alle 9 alla Villa Bellini, per poi scendere in corteo per le vie del centro. «Siamo scesi in piazza già il 15 marzo, e come noi altri studenti in oltre 2000 città del mondo, oggi vogliamo esserci perché la nostra battaglia non si è esaurita quel giorno – dichiara Marta, una studentessa liceale catanese – È il nostro modo per mostrare la voglia di salvare il pianeta e il nostro futuro». Intanto, al microfono si susseguono gli interventi: «Fuori e dentro le nostre scuole c’è un mondo che va a rotoli, noi abbiamo deciso di attivarci».
A partecipare alla manifestazione nel capoluogo etneo sono circa 400 persone. «Tre anni dopo la firma dell’accordo di Parigi, le promesse che ci sono state fatte devono ancora trasformarsi in azioni – dichiara la referente locale di Friday for future Sofia Tortorici – La mobilitazione deve continuare per reclamare l’attenzione delle classi dirigenti del mondo alla ormai riconosciuta presenza di una emergenza climatica e ad applicare delle misure urgenti e concrete per contrastarne le cause».
A fargli eco è anche il portavoce di Friday for future di Catania Paolo Putrino. «I report scientifici dell’ultimo anno sul cambiamento climatico hanno evidenziato più che mai la necessità di un cambiamento profondo del sistema in cui viviamo. Chiediamo – continua – la transizione immediata dal modello fossile a quello delle energie pulite e rinnovabili, per evitare gli effetti degli sconvolgimenti climatici. Serve un cambio radicale del nostro sistema economico e produttivo, e deve essere fatto secondo criteri di equità, facendo pagare a chi ha inquinato il prezzo della riconversione, e non scaricandolo sulle classi sociali più deboli: questa – conclude – per noi è la giustizia climatica».
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