Anche 30mila euro a ettaro. Per gli agricoltori siciliani da un po’ è difficile resistere alle lusinghe delle multinazionali del fotovoltaico a caccia di spazi su cui impiantare i pannelli solari. Chi ci riesce lo fa perché spinto da valutazioni che vanno oltre il lato economico. A presentarsi dai proprietari sono veri e propri moderni sensali, tra loro ci sono liberi professionisti con competenze in materia di progettazione ma è possibile trovare anche persone del posto, qualuno fa pure il consigliere comunale. Li accomuna una consapevolezza: in un’era in cui la filiera agroalimentare è globalizzata e il concetto di prossimità resta confinato ai mercatini a chilometro zero, la luce e il calore del sole sono più redditizi se trasformati in energia elettrica anziché se usati per far crescere grano, frutta e ortaggi. Se a ciò si aggiungono problemi come la difficoltà di accedere all’acqua, gli incendi dolosi e le strade fatiscenti, si comprende perché la sola promessa di comprare i terreni – a condizione che il progetto ottenga le autorizzazioni necessarie – basta per convincere gli agricoltori a firmare i preliminari di compravendita.
In Sicilia, il lavoro dei sensali dell’energia finora è stato facilitato dall’assenza di particolari limitazioni nell’individuazione dei terreni su cui impiantare i pannelli. A eccezione dei siti già sottoposti a rigide tutele ambientali o archeologiche – per intenderci, resta impossibile immaginarli sull’Etna o nel cuore della Valle dei templi – un qualsiasi terreno diventa buono. Ed è così che il fiume di denaro in arrivo dall’Europa nell’ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha generato una pioggia di progetti sull’isola. Il quadro però è in procinto di mutare, anche se al momento non è facile dire verso quale direzione. Molto dipenderà dalla velocità con cui reagirà la Regione nei prossimi mesi. Ciò vale tanto per l’apparato burocratico quanto per il governo guidato da Nello Musumeci, chiamato a rivelare quale idea di futuro ha per la Sicilia.
Il Piano energetico regionale
La prima, importante novità è contenuta nel parere conclusivo che, da poco, la commissione tecnica-specialistica dell’assessorato all’Ambiente ha dato al Piano energetico ambientale regionale. Il documento, la cui ultima versione è scaduta nel 2016, ha ricevuto una lunga serie di osservazioni da parte dell’organismo guidato da Aurelio Angelini, a dimostrazione di come ancora ci sia bisogno di apportare correttivi e integrazioni. «Le carenze di informazione e degli adeguati approfondimenti, dei censimenti e delle mappature dei dati esistenti e reperibili hanno prodotto una descrizione poco focalizzata sulle tematiche, sulle azioni e sul contesto di riferimento e d’impatto del Piano», si legge nel parere della Cts. Tuttavia, sta nelle prescrizioni allegate al parere il passo in avanti che la Regione può compiere in tema di pianificazione del fotovoltaico. La commissione, infatti, è stata chiara nel dire che il piano energetico per poter ricevere il via libera dovrà contenere l’elenco delle aree non idonee. Uno strumento che per il settore eolico è arrivato nel 2016, ma che per gli impianti solari ancora manca.
A beneficiare di un intervento regolatorio, in realtà, sarebbero un po’ tutti, comprese le aziende del settore che potrebbero definire meglio sin dal principio i progetti. Al dipartimento regionale all’Energia, il ramo dell’amministrazione regionale a cui spetta la redazione del piano, la commissione tecnico-specialistica ha dato precisi suggerimenti per definire le aree da proteggere. L’elenco è lungo: si va dai siti inseriti nella lista del patrimonio Unesco e le relative aree cuscinetto alle zone collinari e montane che si trovano all’interno di coni visuali i cui panorami sono legati alla storia e all’attrattività dei luoghi; dalle zone in prossimità di parchi archeologici e aree di interesse culturale alle aree naturali protette; dalle zone umide di importanza internazionali a quelle che fanno parte della Rete Natura 2000. L’invito è anche a escludere i luoghi tutelati dai piani paesaggistici provinciali, le aree importanti da un punto di vista ornitologico e quelle importanti per la conservazione della biodiversità, i geositi, i borghi e i paesaggi rurali. Nessun impianto fotovoltaico dovrebbe sorgere lì dove ci sono produzioni agricole biologiche o caratterizzati dai marchi Dop, Igp, Stg, Doc, Docg. La lista prosegue poi con le aree interessate da dissesto o comunque a rischio idrogeologico.
Le aree attrattive: i pannelli solari vanno installati anche altrove
Il dibattito sulle rinnovabili è delicato. Spesso capita che si critichi la localizzazione degli impianti da parte delle aziende venga accusato di essere contrario allo sviluppo e, soprattutto, poco sensibile alle tematiche all’ambiente. In realtà i problemi che vengono posti sono di ordine diverso e altrettanto importanti per chi ha a cuore il futuro del pianeta: «Io ho rinunciato all’offerta, perché non voglio essere complice della desertificazione della Sicilia», ha detto l’imprenditore Emanuele Feltri, all’indomani dei roghi dolosi che hanno distrutto i suoi terreni a Paternò. A menzionare la necessità di tenere in conto anche gli effetti causati dalla rinuncia alla coltivazione dei campi è anche la commissione tecnica specialistica. «La Regione Siciliana ha assunto posizione e individuato azioni in ordine al tema desertificazione delle aree agricole nel contesto del Programma di sviluppo rurale – si legge nel parere – La degradazione e la perdita irreversibile dei suoli possono divenire una vera e propria emergenza ambientale, che può influire sullo sviluppo socioeconomico di un territorio. Risulta prioritario valorizzare i sistemi colturali tradizionali rispettosi delle risorse naturali, incoraggiare il ricorso a idonee pratiche agricole e forestali, promuovere la civiltà rurale, valorizzando il capitale ecologico legato alla terra».
Ma c’è di più. Il Pniec, il piano nazionale integrato per l’energia e il clima che delinea le strategie con cui l’Italia vuole raggiungere la decarbonizzazione, prevede che da qui al 2030 in Sicilia vengano realizzati impianti per circa 2,5 gigawatt, portando il parco fotovoltaico a quattro gigawatt complessivi. Tale obiettivo, però, dovrà passare per lo sfruttamento di aree già degradate e inquinate, discariche dismesse e cave abbandonate e poi da quei terreni agricoli ma ritenuti non idonei a coltivazioni di valore. Per fare ciò, però, sarà intanto necessario mettere nero su bianco – con tanto di mappa – quali sono le zone che nell’isola hanno queste caratteristiche. A ciò si aggiunge un’altra considerazione ed è legata alla richiesta – inoltrata anche dall’Arpa – di redigere una mappa degli impianti già autorizzati e di quelli in corso di autorizzazione. Non è escluso, infatti, che i target fissati dall’Ue possano essere già raggiungibili tenendo conto delle istanze già incamerate dalla Regione negli ultimi anni: «Dai dati in possesso dell’amministrazione regionale e dalla autorizzazioni dichiarate procedibili, in istruttoria e anche in fase di decisione – si legge nelle conclusioni del parere – risulterebbe un parco impianti più che capace di soddisfare il fabbisogno dei 530 megawatt autorizzabili in altri siti, per i quali si darà precedenza ai terreni agricoli degradati (non più produttivi) o terreni produttivi solo valutando specifiche azioni per favorire lo sviluppo dell’agro-fotovoltaico». La Cts suggerisce infine di inserire tra le aree attrattive anche quelle industriali e commerciali; ovvero quelle che secondo molti agricoltori andrebbero scelte per la progettazione dei parchi fotovoltaici.
La maglia dei controlli si sposta a Roma e potrebbe allargarsi
Se finalmente a Palermo il tema delle aree non idonee è stato messo sul tavolo e difficilmente si potrà evitare di affrontarlo, a mutare il quadro normativo che regola le autorizzazioni ambientali è stato il governo nazionale. Il decreto-legge numero 77 del 31 maggio, ribattezzato Semplificazioni bis e per il quale la conversione in legge dovrebbe arrivare entro fine mese, all’articolo 31 precede una serie di norme che interessano il settore fotovoltaico. La più importante è quella che porta da uno a dieci megawatt la soglia sotto la quale non sarà necessario sottoporre i progetti alla valutazione degli impiatti ambientali. In parole più semplici significa che per le aziende che hanno in mente di installare parchi fotovoltaici per dieci megawatt – grandi orientativamente circa 15 ettari – basterà soltanto presentare un’autodichiarazione in cui si garantisce che il progetto non ricade in un’area non idonea. Prima però queste vanno definite. L’innalzamento della soglia non è una modifica niente: tra le istanze presentate finora alla Regione quattro su cinque hanno una potenza inferiore ai dieci megawatt.
Il decreto Semplificazioni bis prevede inoltre che per i progetti da sottoporre a Via a esprimersi sarà una commissione tecnica nazionale, formata da 40 componenti e localizzata a Roma. Una centralizzazione che bisognerà capire quanto riuscirà a sfuggire al possibile effetto ingolfamento e, soprattutto, ovviare a una minore conoscenza dei singoli territori. Tenendo a mente che le commissioni tecniche danno le valutazioni basandosi sulle informazioni contenute nei documenti presentati dai privati, senza compiere sopralluoghi.
Il disegno di legge per limitare l’estensione degli impianti
Non più del dieci per cento di un terreno agricolo può essere destinato al fotovolatico e comunque entro il limite di un ettaro. La proposta, particolarmente stringente e che farà certamente discutere, è del Movimento 5 stelle che all’Ars ha depositato un ddl per regolamentare il settore. Prevede anche che l’installazione sia subordinata allo sfruttamento delle aree adiacenti con attività agricole, ovvero sarà impossibile mettere i panneli e lasciare il resto dei terreni nudi o diserbarli. «La Sicilia rischia di diventare, in breve tempo, un immenso campo fotovoltaico a discapito sia dell’ambiente, sia delle attività agricole esistenti sul territorio – si legge nella relazione del ddl che ha come primo firmatario il deputato Giampiero Trizzino -. La costruzione di impianti fotovoltaici di enormi dimensioni può avere effetti devastanti anche in termini idraulici, che non si avrebbero se le stesse superfici fossero coperte da specie vegetali spontanee o da colture agrarie, in grado di assorbire l’acqua o di rallentarne e regolarne il deflusso. La destinazione delle superfici agrarie per la produzione di energia – conclude – non è sostenibile – se questa causa la perdita di superficie primaria destinata alla produzione di prodotti alimentari».
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