Gli italiani non sono un popolo così terribile. Non sempre. Il punto è che le occasioni nelle quali lo dimostrano si contano sulla punta delle dita. Troppo spesso gli italiani sono il popolo del «lei non sa chi sono io», «questo non è di mia competenza», «io penso al mio che agli altri ci pensa Dio» e, in ultimo, «se lo fanno tutti posso farlo anch’io».
Gli italiani hanno un caratteraccio: di questo hanno parlato Michele Serra, giornalista di Repubblica, Massimo Gramellini, vice direttore di La Stampa, e Vittorio Zucconi, direttore di Radio Capital, venerdì pomeriggio, durante uno degli incontri del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.
«La nostra filosofia», ha cominciato Zucconi, «è sopravvivere. Gli altri? Che si fottano». Semplice, immediato e diretto. Popolare, insomma, una cosa che tutti possono capire, lontana dai giochi di parole intellettuali e radical chic, e da quelli che Serra ha definito «rompicoglioni di sinistra».
Eppure, qualche italiano che s’è distinto dalla massa c’è stato, ha proseguito Serra: «Prima c’era gente come Pertini. Oggi, quando ha vinto Cota alle elezioni, Cicchitto ha così commentato: “È un vero e proprio stupro contro la Torino comunista”. A parte l’eleganza, il punto sta proprio nell’affermazione. Tempo fa, Bocca aveva detto che il guaio è che più della metà degli italiani è fascista. Lì per lì pensai che, insomma, Bocca, l’età… Ma alla luce di quell’affermazione di Cicchitto mi sono reso conto che, forse, le affermazioni di Bocca sono da riprendere».
L’argomento Cicchitto, però, è risultato ampiamente sdoganato. «Montanelli», ha ricordato Gramellini, «aveva risposto ad una dichiarazione di Cicchitto dopo una sua operazione politica. Cicchitto aveva detto: “In qualche modo, devo pur vivere”. E Montanelli aveva commentato: “Non ne vediamo il motivo”».
Montanelli, un altro italiano da ricordare, qualcuno che sapeva davvero cosa fossero il giornalismo e la politica. Per Zucconi, però, la politica ha sempre avuto a che fare con qualcosa di quasi trascendente, di mitico. «Nel passato, la sinistra si affidava ai miti politici di Marx e Lenin, poi è capitata una disgrazia: il mito è diventato realtà. Lo chiamavano il “socialismo realizzato”. Noi viviamo in un tempo in cui i nostri miti li realizza il Walt Disney della politica, Berlusconi. E a chi ci affidiamo affinché ne si costruiscano di nuovi? A Fassino e D’Alema. O, ultimamente, a Fini, un fascista convertito».
Se il socialismo realizzato è un mito, il fascismo è «una grossa simulazione», in un’Italia che «ha imparato a fingere orgasmi. È lo stesso meccanismo per cui andiamo in chiesa ma non crediamo in dio, perché sa, mia moglie ci tiene…».
È un anelito ad un provincialismo che, invece di scrollarci di dosso, preferiamo mantenere. «Un’altra spina è quella del localismo», ha sottolineato Serra. «Non ci basta essere una nazione con una bassissima mobilità sociale, abbiamo anche una bassissima mobilità geografica. Non cambiamo, siamo statici, non ci muoviamo in nessun senso, fisico e non».
La situazione, comunque, non è sempre stata questa: la scuola pubblica ha prodotto una crepa in un sistema che non prevedeva alcuna ascesa tra le classi sociali. «Eppure la mia generazione qualche errore l’ha fatto», ha ammesso Zucconi. «Sì, qualche errore dobbiamo averlo fatto, perché abbiamo prodotto i vari Cota e Borghezio. Scrivo pezzi in cui prendo per il culo Sarah Palin, ma quella donna in confronto ai leghisti…».
Perfino il Sessantotto ha delle buone ragioni per essere criticato. «Diciamolo: quella storia del 18 politico all’università è uno dei provvedimenti più fascisti che siano mai stati fatti», per Gramellini. «Il figlio di un ricco, dopo i vari 18 politici, si sistema comunque; il figlio di un poveraccio no». E i finanziamenti pubblici alla scuola privata si starebbero muovendo in una direzione ancora una volta errata.
Ma nella mentalità dell’italiano medio c’è anche la tendenza a non preoccuparsi finché una situazione non è arrivata al limite. Il limite, di questi tempi, è vicino: «Ormai abbiamo perso il senso dell’autorità e dell’autorevolezza», ha proseguito Gramellini. «Siamo un’Italia in cui non si crede più che un giudice dia un giudizio in base alla giustizia: urliamo al complotto. Lungi da me voler fare l’apologia di Andreotti, però di lui mi ha sempre colpito una cosa: quando fu indagato per diversi reati, non disse mai una parola contro i magistrati. Sapeva che mettere in dubbio l’autorità era giocare col fuoco. Noi stiamo giocando col fuoco».
E ci stiamo facendo prendere in giro, perché per primi prendiamo in giro noi stessi. «L’italiano medio è come quel mio amico che guardava Italia – Olanda in tv. Erano gli Europei, la partita andava male, la nazionale giocava di merda: falli, fuorigioco, palle perse. E il mio amico si lamentava: “L’Italia fa schifo, è una squadra del cazzo, forza Olanda!”. La partita è finita in parità e si è andati ai rigori. L’Italia, non si sa come, ha vinto. Il mio amico s’è alzato in piedi e ha gridato: “Olandesì, tiè!“».
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