«Forza Italia chiede all’unanimità a Gianfranco Miccichè, coordinatore regionale del partito in Sicilia, la disponibilità a candidarsi alla Presidenza della Regione siciliana». Anzi no. Dopo la lunga bagarre in Aula per la mozione contro Tuccio D’Urso, che ha visto il centrodestra sfaldarsi ancora una volta, in serata arriva un’altra nota a siglata Forza Italia che risponde a se stessa: «In merito alla nota che annuncia la richiesta di Forza Italia formulata al commissario regionale di candidarsi alla presidenza della Regione – si legge – fermo restando che qualunque candidatura espressa da FI sia legittima, ancor di più quella di Gianfranco Micciché, in considerazione della forza e del radicamento del nostro partito, ribadiamo di attenerci alle indicazioni più volte espresse in questi giorni dal presidente Berlusconi e dal coordinatore nazionale Tajani che, a più riprese, hanno sottolineato la necessità di un centrodestra coeso in vista delle future scadenze elettorali territoriali e nazionali».
La firma in calce è quella degli stessi deputati e assessori autografi della nota che ieri sera ha preso le distanze dallo stesso Miccichè: Riccardo Gallo, Riccardo Savona, Stefano Pellegrino, Alfio Papale, Margherita La Rocca Ruvolo, a cui si è aggiunto anche Mario Caputo e gli assessori regionali Gaetano Armao, Marco Falcone e Marco Zambuto. Insieme specificano che «le indicazioni di Forza Italia andranno poste in sintonia con le valutazioni del coordinatore nazionale Antonio Tajani e del presidente Silvio Berlusconi». La cosa curiosa è che molti di loro, compreso l’assessore Zambuto, erano presenti alla riunione che ha preceduto l’Aula e che di fatto ha partorito la nota che annunciava la richiesta di candidatura a Micciché. Il presidente dell’Assemblea regionale non sembra tuttavia preoccupato e poco dopo la seduta dichiara: «Voi davvero pensate che io mi candidi alle Regionali senza averne parlato prima con Berlusconi? Spero che la mia candidatura possa servire a compattare il centrodestra, nessuno vuole una divisione».
Il tempo scorre tra i corridoi di palazzo dei Normanni, c’è concitazione. Dopo un paio di telefonate piuttosto agitate Miccichè dichiara: «A questo punto il centrodestra ha due candidati: Musumeci e Micciché, spero che ne spunti un terzo su cui poi si discuterà. Sarà l’alleanza a decidere. Musumeci dice che è candidato per forza? Quanto meno lo obblighiamo a discutere». Un’azione di disturbo, in pratica, un tentativo da una parte di bloccare la candidatura di Musumeci, forte dell’appoggio di Fratelli d’Italia e dall’altra di accendere un dibattito che sembrava essersi appiattito sul presidente della Regione in carica come unico nome spendibile all’interno di una coalizione che appare ancora molto confusa. L’impressione, comunque, è che arriveranno altre note e nessun risvolto sembra ormai essere impraticabile.
Ai più attenti non saranno sfuggite le analogie tra la situazione attuale e quella che poi si concretizzò nel 2012. Dieci anni dopo i nomi, sul fronte del centrodestra, sono praticamente gli stessi. Allora Micciché decise di candidarsi con la spinta del suo movimento Grande Sud e degli autonomisti fronteggiando proprio Musumeci che si fermò al 25 per cento dei consensi dietro Rosario Crocetta. Nella corsa a palazzo d’Orleans c’era anche Cateno De Luca con la lista Rivoluzione Siciliana.
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