Formazione, l’ora del giudizio per Patrizia Monterosso & Company

Uno scandalo dai contorni ancora tutti da definire, quello che coinvolge la Formazione professionale siciliana. Di scena, il contenzioso legato all’integrazione al finanziamento.

In atto, è in corso un vero e proprio braccio di ferro tra gli Enti storici – almeno quelli colpiti dal provvedimento di restituzione delle somme – e il Governo regionale. Il prossimo 15 maggio si terrà, presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti, l’udienza che vede contrapposti la Procura regionale della Corte dei Conti per la Regione siciliana e il dirigente generale pro tempore, dottoressa Patrizia Monterosso (oggi segretario generale della presidenza della Regione siciliana).

Il giudizio avverso la sentenza della Corte dei Conti n.2947/2012 è il n. 60799. Chiamati in causa anche il già presidente della Regione, Raffaele Lombardo, gli assessori pro tempore, Santi Formica, Carmelo Incardona, Luigi Gentile, l’ex dirigente generale Alessandra Russo e i dirigenti di servizio all’epoca dei fatti (il 2007) Maria Carmela Di Bartolo, Salvatore Di Francesca, Loredana Esposito, Antonino Emanuele.

Il nostro giornale si è interessato, da subito, alla vicenda che ha assunto aspetti socio-economici rilevanti. Sin dall’inizio abbiamo cercato di contribuire alla verità dei fatti, spingendoci fino ad affermare che, stante al quadro giuridico in vigore, l’integrazione riconosciuta agli Enti formativi, nel corso degli anni, era dovuta. Dopo l’udienza del 15 maggio ne sapremo sicuramente di più.

Precisiamo che non siamo interessati alle vicende personali dei soggetti a vario titolo coinvolti, seppur trattasi di materia importante. Ciò che più preme far emergere è il corredo legislativo posto a fondamento dell’integrazione riconosciuta agli Enti formativi tra il 2005 e il 2010. Cosa non convince?

Intanto, l’accelerazione dell’amministrazione regionale nel recupero coattivo delle somme. È chiaro che questa improvvisa efficienza degli uffici desta dubbi. Attenti osservatori ci riferiscono che motivo c’è, e anche importante. Talmente importante da spingere, secondo indiscrezioni raccolte, la presidenza della Regione siciliana ad intervenire con indicazioni precise su modalità e tempi. E per far ciò, pare sia stato necessario procedere al trasferimento d’imperio di sette dirigenti (l’ossatura direttiva del dipartimento formazione professionale) e di una quarantina di funzionari e impiegati “anziani”, cioè profondi conoscitori di uomini e cose in quegli uffici e in materia di integrazioni, non fosse altro per averle vissute.

La decisione di scompaginare gli uffici del dipartimento al ramo, trasferire il personale “scomodo” e procedere all’emissione di provvedimenti di recupero coatto delle integrazioni concesse, stante alle stesse indiscrezioni, risponderebbe alla necessità, per la presidenza della Regione siciliana, di munire la stessa amministrazione del titolo esecutivo necessario a far decadere il giudizio di responsabilità avanzato dalla Corte dei Conti.

In effetti, secondo la consolidata e uniforme Giurisprudenza di legittimità, l’interesse sostanziale ad agire deve essere presente sia al momento della proposizione dell’azione che a quello della decisione. Con il “veloce e repentino” recupero coatto delle somme relative alle integrazioni, concesse e contestate dalla Corte dei Conti, l’amministrazione regionale si è posta al riparo.

Infatti, per sopravvenuta carenza di interesse, l’atto di citazione della Procura della Corte dei Conti diviene inammissibile. Sempre nell’ipotesi che le indiscrezioni fossero attendibili, dubbi e perplessità emergerebbero sulle modalità ed i tempi con i quali gli uffici del dipartimento regionale Istruzione e Formazione professionale hanno proceduto, in applicazione delle previsioni contenute nel Regio decreto n.639 del 1910, al recupero coatto di svariati milioni di euro, sottraendoli al pagamento del personale degli Enti interessati. Somme prelevate, peraltro, dagli acconti di cui all’avviso 20/2011; risorse che, sottolineiamo, sono comunitarie e per le quali vige il principio di divieto di diversa destinazione sancito dall’articolo 80 del Regolamento (Ce) n.1083 del 2006.

Ma veniamo al quadro normativo vigente che ha determinato il riconoscimento del maggiore costo sostenuto dagli Enti formativi per le attività finanziate con il Piano regionale dell’offerta formativa (Prof) relativo agli anni tra il 2005 e il 2010 (oggetto della contestazione della Procura della Corte dei Conti).

Iniziamo il nostro breve excursus con l’esame della legge regionale 6 marzo 1976, n. 24. L’articolo prevede che l’assessore regionale al ramo attui i corsi e le altre iniziative formative avvalendosi, tra gli altri, degli Enti giuridicamente riconosciuti o di fatto, e delle loro relative forme associative che abbiano per fine, senza scopo di lucro, la formazione professionale. All’articolo 6 è previsto che il piano sia predisposto dall’assessorato, sentito il parere obbligatorio della commissione regionale per l’impiego (Cri), anche sulla scorta delle proposte avanzate dagli Enti strumentali e senza finalità di lucro.

Inoltre, precisa anche che “qualora dovessero determinarsi condizioni favorevoli, successivamente all’approvazione del Piano, l’assessore regionale è autorizzato, sentito il parere obbligatorio della Cri, ad apportare modifiche ed integrazioni allo stesso”. L’articolo 9 della citata legge prevede che “il contributo regionale possa coprire le spese riguardanti gli oneri relativi all’assicurazione contro gli infortuni per gli allievi e per il personale addetto ai corsi, nonché alla retribuzione e agli oneri sociali di legge e contrattuali per il personale degli Enti.

Alla lettera i) dello stesso articolo è prevista anche la copertura delle spese relative “alla retribuzione e ai relativi oneri sociali per gli operatori docenti e non docenti degli Enti di formazione, nel periodo che intercorre tra la chiusura di un anno formativo e l’inizio del successivo e per un massimo di due mesi ogni anno o frazione di anno non inferiore a sette mesi di servizio. In detto periodo il personale sarà impiegato, a cura degli Enti o della Regione, in attività didattiche, formative, di aggiornamento o di riqualificazione, nonché al reclutamento degli allievi e alla preparazione di attività corsuali”.

L’articolo 13 dispone che il trattamento economico e normativo del personale dei centri formativi sia disciplinato nel rispetto delle norme stabilite dai contratti collettivi di lavoro. La legge nazionale n. 845 del 21 dicembre 1978, oltre a stabilire il principio dell’elevazione professionale dei lavoratori (articoli 3, 4, 35 e 38 della Costituzione) e il rinvio allo Statuto delle Regioni per la potestà legislativa prevede che, nell’attuazione dei Piani di formazione, le Regioni possano convenzionarsi con Enti privati in possesso di precisi requisiti.

In particolare, l’articolo 9 stabilisce che il trattamento economico e normativo del personale addetto alla formazione professionale è adottato sulla base di un accordo sindacale nazionale stipulato tra le Regioni, il Governo e le organizzazioni sindacali. La legge regionale n. 36 del 21 settembre 1990, in tema di erogazione dei contributi per la formazione professionale, stabilisce che le somme versate su due appositi conti siano destinate al pagamento delle competenze da corrispondere al personale impegnato in attività formative, compresi gli oneri riflessi.

La legge regionale n. 25 del 1 settembre 1993, all’articolo 2 introduce il principio della garanzia in favore dei lavoratori del settore. Riportiamo il testo: “al personale iscritto all’albo previsto dall’articolo 14 della legge regionale n.24/76, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato è garantita la continuità lavorativa e riconosciuto il trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria”.

Così come l’articolo 17 della legge regionale n. 24 del 26 novembre 2000 stabilisce che il personale dei servizi formativi può essere utilizzato, nell’ambito delle attività finanziate con piano annuale, in attività di aggiornamento, riqualificazione e di politica attiva del lavoro. E ancora, la legge regionale n. 23 del 23 dicembre 2002 stabilisce che i pagamenti, relativi alle spese del personale, da parte dell’amministrazione regionale, dovranno essere accreditati nella misura necessaria alla copertura integrale del costo totale del voce personale.

Mentre la legge regionale n. 4 del 16 aprile 2003 istituisce il Fondo di garanzia per il personale dipendente degli Enti formativi iscritti all’Albo di cui all’articolo 14 della legge regionale n.b24/76. Con la legge regionale n. 21 dell’8 novembre 2007, si introduce il principio contabile per cui gli stanziamenti di bilancio finalizzati alla legge regionale 24/76, nel caso di economie di cui alla legge regionale 8 luglio 1977, n. 47, possono essere destinati a interventi previsti dalla stessa legge 24. Anche la recente legge 10 del 7 giugno 2011 richiama chiaramente l’impianto normativo precedentemente indicato.

Dal complesso quadro normativo regionale e nazionale si evince chiaramente l’obbligo, da parte della Regione siciliana, di sostenere per intero gli oneri derivanti dal costo del personale impegnato nella formazione professionale. La cosa che stupisce di tutta la vicenda è che la Regione si è fatta carico per intero delle spese del personale degli Enti di formazione sin dal 1976. Comportamento confermato dalla fittissima produzione di provvedimenti amministrativi (norme secondarie) tutti volti al riconoscimento del maggior costo.

Basti ricordare il recepimento più volte avvenuto del contratto collettivo di lavoro con delibera di giunta regionale. È il caso della delibera n. 426 del 23 dicembre 2003 di recepimento del Ccnl 1998/2003. Eppure, dopo trentasette anni qualcosa è successo.

Adesso viene contestata l’integrazione che subisce un procedimento amministrativo complesso prima di essere erogata e poi rendicontata. Restano i dubbi sugli ultimi accadimenti e i misteri sui reali motivi che avrebbero spinto la magistratura contabile a emettere la sentenza n. 2947/2012 condannando l’amministrazione regionale per il danno causato all’Erario. Restano i dubbi, eccome!

Che sia il risultato di una guerra a suon di parametro di finanziamento tutta interna agli enti formativi? Indiscrezioni riportano una verità: pare che tutto possa avere avuto inizio con il deposito di una denuncia da parte di “donne d’assalto”, manager formativi, imprenditrici dal tatto fine, interessate a ottenere maggiori quote di finanziamento a danno di altri. Ma sono soltanto “voci di corridoio” e tali restano.

 

Giuseppe Messina

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