Zamparini, il presidente che non ha mai vinto niente

Caro direttore,

adesso che anche l’aritmetica ha condannato il Palermo calcio alla retrocessione mi permetta di sciogliere all’urna un cantico.

Consiglio a quelli che … “dobbiamo ringraziare Zamparini che ha portato in Palermo in A e ce lo ha tenuto dieci anni” e a quelli che tifano Palermo dovunque e comunque senza se e senza ma, di non azzannarsi il cervello a cercare di capire quello che sto per dire. E’ inutile.

Una dimostrazione della misurazione del lavoro in fisica aprì imprevedibili, smisurati orizzonti alla mia meditazione. Da quella dimostrazione imparai che un fattorino che porta una valigia pesante 10 chili al primo piano di un albergo compie un determinato lavoro che, secondo rigorosi e complicati calcoli, equivale a un certo valore.

Lo stesso fattorino che con la stessa valigia scende per quelle stesse scale e torna al punto di partenza, sempre in forza di rigorosi e complicati calcoli, azzera completamente il lavoro fatto. Per le leggi della fisica è come se non fosse mai salito a quel primo piano.

Sembra assurdo, vero? Eppure esattamente quello che ha fatto Zamparini, il Presidente che non ha mai vinto niente. Dico questo perché la mia idea di patron del calcio è assai diversa da quella che incarna il Nostro ed ha radici assai lontane.

Narra infatti la leggenda che una mattina di un tempo che fu, il senatore Giovanni Agnelli senior, patron della Juventus Football club, salì sulla ammiraglia della Fiat e si fece portare in un campetto di calcio un po’ fuori mano. Era una limpidissima giornata, di quelle che solo a Torino si possono ammirare se l’inverno concede una tregua. A nord si stagliava nettissimo il Monviso innevato, e, più giù, la Collina di Superga, ancora innocente, con la sua Basilica.

Il senatore scese dall’auto e si sistemò in uno dei primi gradini della piccola tribuna del campo. Sul prato c’era soltanto un ragazzotto, magro, scuro, dinoccolato, con i capelliimpomatati che palleggiava con assoluta padronanza e in bello stile. Ad un segnale stabilito il ragazzo si piazzò vicino alla bandierina del corner e iniziò a tirare un calcio d’angolo dietro l’altro in direzione della porta vuota. Tutti i palloni si insaccarono, alcuni sotto la traversa a destra, altri sotto la traversa a sinistra, e tutti ben angolati. Quel ragazzotto era Raimundo (Mumo) Orsi, l’oriundo argentino che fu ala sinistra nella Juventus dei cinque scudetti di fila, nonché campione del mondo con la nazionale italiana di calcio nel 1934.

Ecco che cosa incarnava il Senatore Agnelli: amore per il calcio e la sua bellezza, competenza e riserbo, quel riserbo che un giorno lo aveva portato a dire che nei giornali ci si deve finire solo da morti.

Un uomo ricco è degno di stima e di considerazione se la sua ricchezza è frutto di intelligenza, onesto lavoro e tenacia. Stima e considerazione e nulla più. Infatti, un uomo ricco a cos’altro può aspirare nella vita se la sua vicenda umana è consacrata esclusivamente all’arricchimento materiale e la sua unica occupazione, anche se diversificata in tante e tante attività, può ricondursi soltanto ad un unico obbiettivo, quello di fare soldi?

Quando un uomo siffatto esce di scena la cosa può interessare soltanto poche persone. Per la società largamente intesa non è una perdita, perché nulla ha fatto per essa, nulla per sollecitare gratitudine e rimpianto. Quando si è detto che se ne è andato si è detto tutto e nel suo caso vale il detto di Proust: “Il denaro è soltanto lo zero che moltiplica il valore delle cose”.

Io non mi permetto di giudicare l’operato di Zamparini come Presidente del Palermo calcio: non mi interessa entrare nel dibattito che, con la retrocessione della squadra, si farà sempre più acceso. Non mi interessa se è venuto a Palermo per far soldi, se ha usato la squadra come un grimaldello o come un emolliente per sciogliere tutti i nodi che ostacolavano la sua attività commerciale a Palermo; se ne capisce di calcio o compra i giocatori a peso, né se ha un super io con il quale dover fare i conti, oppure no, né perché, pur avendo nel primo anno di serie A una squadra competitiva, capace di arrivare sesta, l’ha gradualmente smantellata, dando la stura ad una girandola di quasi 500 giocatori tra acquisti e cessioni e di 22 allenatori, quando sarebbe stato più logico rinforzare gradualmente quella squadra dandole continuità. Né infine, se ha fatto promesse sapendo di non volerle mantenere. Niente di tutto questo.

Io mi permetto di riflettere sul suo operato sotto un profilo, mi si passi il termine, inusuale nell’Italia pedatoria, morale. L’ho detto all’inizio. Un uomo che vive dentro il mondo del calcio da più di trent’anni e non ha mai vinto niente è un uomo che non ha voluto costruire niente per vincere o tentare almeno, niente per essere ricordato e tutto quello che ha fatto lo ha fatto per altri scopi. Nessuna tensione personale, nessuna nobile ambizione hanno guidato le sue azioni. Ha avuto in mano le chiavi del cuore della città di Palermo e le ha buttate nel pozzo. Poteva lasciare una calda “eredità d’affetti” e invece ha preferito finire nelle pagine gialle della città alla voce “Acquisto e vendita di calciatori” e quando tra qualche anno qualcuno parlerà di lui lo ricorderà come una specie di bizzarro e spiritato personaggio, furbetto quanto basta.

Eppure ci sarebbe quasi da ammirarlo. Se fosse così infatti saremmo di fronte ad un uomo di ghiaccio, il vulcanismo sarebbe esteriore e di facciata, un uomo freddo e calcolatore, capace di restare indifferente di fronte all’unico fenomeno veramente coinvolgente che ci sia in Italia, cioè il calcio. Che per lui è e rimane un mezzo e non un fine.

Complimenti, Presidente!

 

Francesco Busalacchi

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