Forconi, il primo giorno in Sicilia è un flop Ferro: «Siamo in uno Stato di polizia»

L’Italia si infiamma per la protesta dei Forconi, ma all’appello non risponde la Sicilia. Nel primo giorno dell’annunciato sciopero di agricoltori e autotrasportatori la partecipazione nell’isola non risponde alle attese. Presidi a Palermo, Milazzo, Alcamo, Castellamare del Golfo, Agrigento e Campobello di Licata. Ma in quello che due anni fa fu il cuore della protesta, il casello autostradale di San Gregorio, i manifestanti sono stati solo qualche decina. A Catania il movimento dei Forconi si è tuttavia sdoppiato, montando anche un gazebo in piazza Università. L’unico autorizzato dalle autorità. Questura e prefettura, infatti, hanno preventivamente vietato ogni assembramento nei punti nevralgici della rete stradale. «Non è possibile neppure riunirsi tra quattro persone, neanche in tempo di guerra era stato preso un provvedimento simile. Noi li abbiamo sfidati ed è già un successo essere qui», attacca Franco Crupi, uno dei portavoce del Movimento e referente per la provincia etnea. «Siamo in uno stato di polizia, non è possibile scioperare come possono fare invece i sindacati», rincara la dose da Palermo il leader Mariano Ferro.

Il presidio del Movimento dei Forconi in piazza Università, unica manifestazione autorizzata

I divieti e la disinformazione dei media sono, secondo i Forconi, le cause principali della scarsa partecipazione. «Hanno voluto tagliare la testa alla Sicilia, siamo i capri espiatori per quanto successo due anni fa», aggiunge Salvatore Mari, artigiano del cuoio. La protesta comunque prosegue, «perché, se il resto d’Italia andrà avanti, anche qui succederà qualcosa», dicono con convinzione i manifestanti.

Il presidio a San Gregorio inizia di notte, con un centinaio di persone che vengono subito circondate dalla polizia che impedisce il volantinaggio ai caselli. Crupi, già deferito, viene denunciato. Attimi di tensione si registrano tra alcuni manifestanti e il resto del gruppo. «Erano una decina, credo di Forza Nuova, con un paio di bandiere tricolori – racconta Daniele Oliveri, studente universitario di Informatica – Hanno acceso alcuni fumogeni e insultato i poliziotti. Abbiamo detto loro di smetterla perché altrimenti sarebbe finita male e poco dopo se ne sono andati». Nervosismo anche a metà mattinata, quando un autista decide di fermare il suo camion a bordo strada e aggiungersi alla protesta. Ma la sosta dura solo qualche minuto. L’autotrasportatore inveisce contro le forze dell’ordine: «Chi state difendendo? Noi siamo come voi», urla prima di essere identificato e invitato ad andare via. Ma è un caso isolato, i camion transitano regolarmente e non si fermano. Al casello rimangono agricoltori, artigiani, qualche studente e piccolo imprenditore.

«Ho una ditta di giardinaggio – spiega Andrea Placenti, 20 anni – Gli affari non vanno male ma sento il dovere di protestare. Un sistema che regala incentivi alle grandi imprese e lascia morire i piccoli, è destinato a fallire». Salvatore Mari negli ultimi anni è stato costretto a licenziare cinque operai e chiudere sei botteghe di articoli in cuoio nella provincia di Catania. «Lotto anche per chi non si può permettere di compare i miei prodotti, ma non ha il coraggio di scendere in strada. Se stavolta non scoppia la rivoluzione sarà stata una buffonata», promette. Anime diverse tenute insieme dall’obiettivo, prettamente politico. Non ci sono rivendicazioni di categoria, nessuno sconto sul carburante come chiesto due anni fa. «Lo scopo è buttare fuori dal Parlamento tutti i venduti. Toglierli tutto, come hanno fatto con la mafia», aggiunge Mari.

Di infiltrazioni criminali si continua a parlare. Dopo quelle accertate del gennaio del 2012 nel settore degli autotrasportatori e le minacce comparse in questi giorni nell’Agrigentino, i timori sono fondati. «Siamo contrari alla mafia – sottolinea Mari – Ma non posso chiedere la fedina penale a tutti quelli che si avvicinano a noi. La mafia è rimasta solo in Parlamento». La protesta si trasferisce in centro. Sotto un gazebo in piazza Università, Carlo Siena, piccolo artigiano che ha sposato la causa dei Forconi, fa vibrare le casse con voce possente. «Studenti, scendete in strada, stiamo protestando anche per voi, se state a casa nessuno vi aiuta, i politici non hanno più niente da promettervi», tuona al microfono. Ma l’unione tra lavoratori e studenti non avviene, almeno per oggi. «La piazza – promette Siena – resterà nei prossimi giorni punto di informazione e di raccolta di una protesta che cambierà modalità, ma resterà sempre democratica e pacifica».

Salvo Catalano

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