Fondi europei, Sicilia all’ultimo posto

Con l’aiuto dei dati ufficiali di ISTAT, EUROSTAT, KPMG (nel rapporto ufficiale quale advisor UE), e UIL, abbiamo ricostruito uno schema per confrontare il livello di spesa (a fine 2010) dei fondi dell’Unione Europea in Sicilia e, in gran parte, dei nuovi Paesi entrati a far parte della stessa Unione, cioè quelli dell’Europa Centrale ed Orientale. Abbiamo anche evidenziato il loro “impatto minimo” sul Pil annuale (Prodotto interno lordo), ossia il rapporto tra la pura spesa media annuale dei fondi e il Pil stesso. Abbiamo cioè calcolato qual è stato il contributo dei fondi europei alla formazione del Pil siciliano, sia pure in assenza totale di ciò che gli economisti chiamano “impatto”, ovvero gli effetti indiretti sulla crescita.
Lo studio mostra come la Sicilia sia ultima degli ultimi, non solo nella quantità dell’assegnazione dei fondi rispetto al proprio Pil, ma anche nella capacità di spesa che, secondo i dati in nostro possesso, sono a livelli più che preoccupanti, di completo fallimento, almeno alla data del dicembre 2010, cioè grosso modo a metà del percorso di attuazione dei programmi 2007-2013.
Alla Sicilia sono stati assegnati fondi che in volume sono qualcosa come dieci volte inferiori a quelli dati alla Polonia e quasi quattro volte inferiori a quelli assegnati alla Repubblica Ceca (8,6 miliardi di euro alla Sicilia contro 82 miliardi della Polonia e oltre 30 miliardi assegnati alla Repubblica Ceca, per citare solo due esempi). Per carità, è ovvio che la Polonia ha una popolazione molto più grande di quella della Sicilia, stessa cosa per la Romania (cinque volte più popolosa della Sicilia). Allora confrontiamo, con l’elaborazione pubblicata nel rapporto ufficiale della KPMG, in rapporto agli abitanti. Ebbene anche là, la capacità di negoziazione dei nostri rappresentanti a Bruxelles è stata, diciamolo, da “polli”. Solo Romania e Bulgaria, infatti, sono riusciti a fare peggio di noi con poco più di 1000 euro per abitante, mentre Paesi come Estonia, Repubblica Ceca e Ungheria sono riusciti a strappare intorno a 3000 euro per abitante. Il nostro governo (nazionale e regionale) ha ottenuto poco più della metà (circa 1700 euro per abitante in sette anni). Complimenti a chi ha negoziato l’assegnazione delle risorse in primis!
Si dirà: oh bella, ma ci si deve rendere conto che le risorse sono assegnate in rapporto ai livelli di povertà. Invece no, altrimenti i due Paesi notoriamente più poveri, cioè Bulgaria e Romania, avrebbero dovuto ottenere molto di più. Allora come sono stati assegnati? Sarebbe interessante saperlo, e cercheremo di scoprirlo. Intanto intuiamo che la capacità di negoziare il volume assegnato come budget di spesa ha giocato un ruolo importante: dato, questo che la dice lunga sulla capacità del nostro Paese di negoziare. E, ripetiamo, abbiamo fatto la parte dei ‘polli’ insieme a Romania e Bulgaria. 
Sarà perché l’Europa propone una politica “antirazzista” e, quindi, a difesa di popoli bersagliati dal razzismo becero dell’uomo comune padano ed europeo? Non sembra, anzi. Di fatto, ai meridionali europei, fossero bulgari, romeni o siciliani, è stato dato meno, forse proprio perché semplicemente meridionali in un’Europa che si dimostra giorno per giorno sempre più xenofoba e razzista, per lo meno nei fatti. Sarebbe interessante sondare quanto è stato dato, ad esempio, alla Grecia in fondi strutturali europei, e poi pubblicare un altro articolo. Lo faremo.
Si dirà: la proporzione è in base al Pil, perché se il Pil in volume è più grande, è giusto che, proprio per avere un certo impatto, ci sia un certo rapporto tra volume dei fondi assegnati e volume del Pil. Benissimo, anzi, malissimo! A questo punto siamo proprio ultimi! Il volume dei fondi assegnati alla Sicilia per i sette anni che vanno dal 2007 al 2013 equivalgono infatti a circa il 10% del Pil siciliano annuale (calcolato dall’ISTAT per il 2010). Tranne che per la Slovenia (evidentemente anche loro tanticchiedda scarsuliddi nel negoziare, anche se ricevono molto più di noi, almeno nel rapporto con gli abitanti), tutti i Paesi ricevono un volume superiore al 20% del Pil annuale: i Paesi del Baltico sono riusciti ad ottenere un volume di fondi vicino al 30% e l’Ungheria ha addirittura superato il 30%.
Mi direte, ma i fondi sono settennali (e più) e il Pil è calcolato su base annuale. Chiunque conosca un minimo di matematica sa che il rapporto tra i Paesi, in media almeno, non cambia in questo caso. Ma per essere più espliciti, ed anche per renderci conto delle quantità ed equivalenze effettive, abbiamo analizzato la percentuale dei fondi assegnati rispetto al Pil di ciascun Paese su base annuale. Parliamo, in pratica, del rapporto tra la spesa media annuale che avrebbe dovuto essere effettuata (se i fondi si fossero spesi interamente) e il Pil. Anche se i fondi sono spesi per cose inutili, di fatto, il contributo annuale dei fondi alla formazione del Pil (se effettivamente spesi in loco, cosa della quale dubitiamo, a parte la capacità di spesa stessa), è rappresentato da queste percentuali. E’ insomma, il vero “contributo teorico” dei fondi UE alla crescita della ricchezza delle aree meno sviluppate d’Europa.
Ebbene, qui si vede come Ungheria ed Estonia siano state capaci di negoziare molto meglio degli altri e di come noi abbiamo ottenuto fondi che, anche se spesi tutti (un sogno assolutamente proibito come vedremo più avanti), contribuirebbero solo per l’1,43% annuale alla nostra crescita economica, fatto salvo l’impatto indiretto… che è tutto da vedere, perché in certi casi potrebbe essere negativo se i progetti finanziati finiscono nelle mani di organizzazioni di persone poco raccomandabili oppure in progetti dall’impatto ambientale negativo.
Ma veniamo al bello. Siamo riusciti a spendere questi fondi almeno in quantità maggiore rispetto alle amministrazioni e dei sistemi economici di altri, non ricchi, Paesi? La risposta è impietosa: no, sempre e sempre, no. Ci siamo fatti dare meno di quanto avremmo potuto ottenere e siamo pure stati capaci di spendere una cifra irrisoria, del già non esaltante budget (appena il 5,30 per cento, poco rispetto al 27 per cento della Slovenia, al 17 per cento della Slovacchia, al 6,4 per cento della Romania, al 16 per cento circa della Polonia, al quasi 29 per cento della Lituania, al 30 per cento della Lettonia, al 16,38 per cento dell’Ungheria, al quasi 22 per cento dell’Estonia, al 26,13 per cento della Repubblica ceca e al 10 per cento della Bulgaria). Complimenti all’amministrazione regionale!
Entriamo nel dettaglio. La Sicilia entro il 2010 ha impegnato (ma non ancora speso) solo 700 milioni di euro circa, ovvero l’8,56 % dei fondi assegnati. Un risultato che definire “pessimo” è da ottimisti inveterati. Ma impegnare non significa spendere. Impegnare vuol dire, in pratica, avere solo pubblicato i bandi dei progetti. Molto poco nel processo amministrativo per la loro spesa e per gli eventuali impatti positivi. Se parliamo di spesa effettiva, siamo riusciti ad essere vergognosi: solo mezzo miliardo di euro è stato effettivamente speso entro il 2010. Piccoli Paesi come Lettonia e Lituania (con popolazioni che sono la metà di quella siciliana e livelli di ricchezza semplicemente infimi) hanno speso 3, 4 anche 5 volte di più. Solo i cugini romeni hanno fatto la nostra stessa malafigura, ma anche loro hanno fatto meno-peggio di noi.
Alla fine del 2010, cioè a metà del percorso, eravamo ad appena il 5,3% di spesa effettiva, ultimissimi financo dietro la Romania (con il 6,4%) e lontanissimi da Paesi come la Lettonia che aveva già speso il 30%, cosa comunque non esaltante anche per loro, a metà percorso… Forse il freddo del Baltico aiuta almeno un poco a spendere i fondi europei? Probabilmente sì, se non altro perché gli amministratori rimangono al chiuso, in ufficio, a lavorare.
Ma la ciliegina sulla torta ce la dà l’ultimo, ultimissimo e minuscolo numeretto: 0.13%. E’ questo il contributo dei fondi europei effettivamente spesi, su base annuale, rispetto al Pil della Sicilia (in media). Possiamo dire “sconfortante”? O forse è meglio dire “vergognoso”? E’ o non è uno schiaffo alle centinaia di migliaia di disoccupati e precari siciliani che sulla crescita della nostra economia basano le speranze di poter trovare un lavoro e quindi vivere dignitosamente a casa propria e forse, in un giorno – che sembra lontanissimo – non chiedere più l’elemosina all’Unione Europea?

 

Gabriele Bonafede

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