Fini il futurista contro l’ ‘Italietta immobile e provinciale’

Il futurismo è un’atmosfera d’avanguardia: la parola d’ordine di tutti gli innovatori ed intellettuali del mondo. È l’amore per il nuovo”.

Ospite ieri della città di Catania e dell’ex Monastero dei Benedettini, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha definito così il movimento italiano del primo Novecento che è stato capace di sconfinare in tutto il pensiero mondiale.

In un Aula Magna gremita di studenti e docenti, alla presenza di diversi politici e del Magnifico Rettore dell’Ateneo catanese Antonio Recca, Fini ha tenuto una lectio magistralis offrendo spunti di riflessione e collegamenti con i tempi moderni: “I futuristi abbatterono i vari ambiti della comunicazione sociale esplorando gran parte delle nuove possibilità di linguaggio offerte dalla società dei primi del Novecento”. Il Futurismo, amore infinito verso le macchine e il progresso, oggi appare solo corrente “ingenua e distante dalla sensibilità contemporanea”, che, al contrario, pone l’accento più sulla riscoperta della lentezza, intesa come riconquista dei ritmi della natura. 

Il ‘professor Fini’ spiega che “come tutti i grandi movimenti, quello fondato da Filippo Marinetti, fu un fenomeno complesso nella sua prospettiva temporale con delle cose positive ma anche negative come l’esaltazione della guerra che va contro l’etica civile e contro la nostra Costituzione”. 

Ma il futurismo, legato storicamente e idealmente all’epoca fascista, è stato abbracciato anche da altre ideologie e movimenti culturali totalmente opposti. Basti pensare, ha ricordato il Presidente della Camera nella sua lectio, ad Antonio Gramsci che più volte si dimostrò interessato al movimento marinettiano. Quella futurista era per l’intellettuale comunista una sorta di distruzione creatrice: “Per i futuristi distruggere non significa privare l’umanità di prodotti materiali necessari alla sua sussistenza, ma significa distruggere le gerarchie spirituali, idoli, tradizioni irrigidite”. Non è un caso che anche la Russia, patria dell’anticapitalismo, abbracciò l’ideologia futurista: “Per Maurizio Calvesi riuscì a influenzare tutti i movimenti artistici operanti e vicini riconoscendo il caso emblematico della Russia attraverso l’esperienza dei cubofuturisti di Kamenskij e gli esperimenti letterari di Chlebnikov”.

Un’accusa che la critica ha mosso spesso a Marinetti e ai suoi lavori è il presunto carattere misogino del suo pensiero. A questa opinione della critica, l’ex leader di AN sorprende la platea affermando: “ Superate le interpretazioni della critica, il futurismo non solo non era maschilista, ma, tra le avanguardie della prima metà del secolo, vantava il maggior numero di artiste. Marinetti seppe promuovere tantissime scrittrici e artiste. Non c’era l’intento di denigrare ma di metterle sopra un nuovo piano per avere una nuova progressista visione”. A proposito di una nuova visione, Marinetti attuò questo anche nella sua vita privata sposando una “mia uguale e non discepola”, come afferma lo stesso poeta, cioè la poetessa Benedetta Cappa. Marinetti, nell’analisi del prof. Fini, fa risaltare Valentine di Saint-Point che scrisse “Il manifesto della donna futurista”, esaltazione del virile e della violenza femminile, e del “Manifesto della lussuria”, che esalta l’energia sessuale. Il Presidente della Camera conclude il suo intervento portando Marinetti in una prospettiva odierna come colui che combatteva “l’Italietta” immobile e provinciale e, soprattutto, come colui che, insieme ad altri scrittori e alle loro opere, voleva cambiare l’Italia attraverso l’arte, gli scritti e le poesie.

Daniele Palumbo

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