Titolo: Finale di partita. Autore: Samuel Beckett. Adattamento e Regia: Franco Branciaroli. Scene e Costumi: Margherita Palli. Luci: Gigi Saccomandi. Interpreti: Franco Branciaroli, Tommaso Cardarelli, Alessandro Albertin, Lucia Ragni. Produzione: Teatro de Gli Incamminati.
Lo spettacolo ha inizio con 7 minuti di silenzio, in cui lazione scenica è data dai continui e frenetici spostamenti di Clov, unico personaggio dinamico. Finita è finita sta per finire!. In questa ricorrente dialettica tra lapprossimarsi della fine e il rimanere sullorlo dellincompiuto si sviluppa tutta la vita di Samuel Beckett, la sua opera letteraria e questo lavoro per antonomasia.
In scena è il teatro dellassurdo: trama inesistente, atmosfera grave, paradossali situazioni, dialoghi senza consistenza, movimenti ripetitivi e meccanici. Un teatro che in verità non ha niente di assurdo, se non la quasi completa verosimiglianza con lumanità tutta, che soffre, anela alla morte, ma non muore mai, perché la sofferenza più grande non sta nella fine ma nellinutile, disperata attesa di essa immersi nellinconsistenza della quotidianità. La tragedia sta nellimpossibilità di vivere la totalità, essendo ogni punto di vista relativo.
Frase capitale della pièce, messa in bocca paradossalmente a Nell – personaggio che scenicamente ha meno rilevanza – è Non cè niente di più comico dellinfelicità. Questo, probabilmente, è il messaggio che voleva trasmettere il padre dellopera, ma di certo è quello che ci comunica con forza ed evidenza il regista Franco Branciaroli, che decide di puntare sulla comicità. Chi lavrebbe detto che andando ad assistere ad una rappresentazione beckettiana, in particolare Finale di Partita, la sala sarebbe scrosciata in fragranti risate? Forse si ride per non piangere per non pensarci, ma Branciaroli è stato capace di sprigionare tutta lironia possibile da un testo che a ben rifletterci tocca le corde del cuore.
Quando niente sembra avere senso, né la parola intangibile, né i movimenti insignificanti, il vuoto pare dominare. Nei continui riferimenti verbali, nellinconsistenza della vicenda rappresentata, nello spazio esterno dove tutto è mortibus, nella ripetuta allusione al colore bianco, che nelloriginale versione francese è blanc richiamando foneticamente il termine inglese blank, ovvero vuoto. Come pure la scenografia, minimale, argentea, o meglio di un colore neutro che in base agli effetti di luce al neon, variava dal rosso allazzurro allindaco; svuotata di tutto, in scena solo i personaggi e pochi oggetti di uso quotidiano: un fischietto che Hamm usa per richiamare allordine Clov, un cagnolino di pezza incompleto, una sveglia per scandire il tempo che invero sembra non scorrere mai ed un cannocchiale, che nella versione inglese dellopera è in realtà il telescopio di accezione galileana, con probabile riferimento parodico alla figura rinascimentale delluomo completo e realizzato, che qui e ora si riduce ad una larva, pallida ombra di unicona ormai andata.
La scena è tanto minimale da richiamare limmagine di un cranio umano, con le due finestre – inesorabilmente chiuse – a rappresentare gli occhi spenti dei loro personaggi. Come il cervello di ognuno di noi, dove Hamm potrebbe simboleggiare listinto e il suo alter ego Clov la razionalità. Oppure semplicemente il vuoto. In questa scatola rialzata, quasi sospesa sul palco, sono inscritti tutti e 4 i personaggi: il protagonista Hamm, egregiamente e ironicamente interpretato dallo stesso regista Franco Branciaroli, paragonato dalla critica allispettore Clouseau per via del marcato e grottesco accento francese, il suo assistito, complementare Clov (un valente Tommaso Cardarelli) e i due poveri genitori di Hamm, destinati ad una vita da cani, con tanto di biscottino a forma di osso e segatura allinterno di due claustrofobici bidoni dellimmondizia, da dove, con il solo ausilio di qualche fessura per respirare, i due coraggiosi attori Alessandro Albertin e Lucia Ragni, hanno recitato e assistito allintera messa in scena. Contando sul solo senso delludito, come ha affermato in conferenza proprio Albertin.
Seguendo infatti il calendario degli incontri Doppia Scena, nati da un fertile accordo tra Teatro Stabile e le Facoltà di Lettere e Lingue, venerdì 2 febbraio si è tenuto un seminario sullo spettacolo. Le professoresse Marilia Marchetti, Maria Grazia Nicolosi e Rosalba Galvagno hanno fornito innumerevoli spunti e nuove possibili chiavi di lettura dellopera, dando vita ad un interessante confronto di idee, elogiato dallo stesso regista ospite dellincontro. Coordinati dal professore Fernando Gioviale, laula 2 e il suo pubblico si sono infervorati nel far rivivere il mito di un Samuel Beckett, affascinante anche nellaspetto fisico, per ben due ore e mezza. Sembrava quasi che tra gli intervenuti si stesse riproducendo mimeticamente quel continuo scambio di battute a botta e riposta che caratterizza i due protagonisti in scena. Fino a che Branciaroli ammette: Se Beckett avesse visto la mia edizione, lavrebbe bocciata!. Perché egli tendeva a impedire di significare, mentre una pièce di unora e mezza è stata motivo di aperte, interminabili discussioni su di essa. E, come in essa, si è chiuso lincontro, con la dichiarazione Non parliamone più non parliamo più!.
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