«Vergognatevi. Non meritare di appartenere a questa città». Solo poche parole. Le uniche che Elena Fava vorrebbe rivolgere a quanti da anni «oltraggiano la figura di mio padre – dice amara ma ferma – Che poi non è solo mio padre, un giornalista o la prima vittima di mafia di Catania. E’ una storia che appartiene a tutti». Se la prende con un «gesto vigliacco» la figlia di Giuseppe Fava, il giornalista di Palazzolo Acreide ucciso dalla mafia nel capoluogo etneo il 5 gennaio del 1984. Ignoti hanno infatti rubato la corona e i fiori deposti due giorni fa, durante la commemorazione, davanti alla lapide posta nel punto della morte di Fava, nell’omonima via, davanti al teatro Stabile.
Il 5 gennaio una piccola folla si è riunita lì davanti. L’indomani, i fiori non c’erano più. E non è nemmeno il primo anno in cui succede. «Solo che stavolta non ne ho potuto più – spiega Elena Fava – E’ il segno che una parte di questa città, la peggiore, non è con noi». E’ esasperata, ma non solo per se stessa. «A Catania c’è gente che ha voglia di cambiare. Ci sono quelli che il 5 gennaio erano con noi davanti alla lapide – continua – C’è persino chi è venuto da fuori. Lo faccio anche per loro».
Chi sia stato non si sa. Ignoti, ma dotati di una scala. O quanto meno di uno sgabello. Perché a sparire è stato anche il mazzolino di fiori posto in alto e agganciato a un chiodo della lapide. «E’ quello che ci offende di più – spiega Resì Ciancio, della fondazione Fava – Perché, se si fossero portati via solo la corona, avrei anche potuto capirlo. C’è crisi e magari il Comune voleva riutilizzarla», dice ironica. Perché quello dei fiori scomparsi non è l’unico mistero che accompagna la commemorazione del 5 gennaio. C’è anche il particolare della corona offerta dall’amministrazione comunale e deposta sempre da impiegati fantasmi. La si trova lì, nel pomeriggio della commemorazione, e non si sa mai chi ce l’abbia messa. Perché, durante il ricordo – a parte una visita dell’allora sindaco Enzo Bianco – dal Comune non si è mai fatto vedere nessuno. «Mi sono sempre chiesta perché, se decidono di fare un gesto, non lo fanno fino in fondo», commenta Elena Fava.
Una timidezza da parte del Comune che spiega come mai quest’anno sia stata accolta come un evento la presenza di un altro rappresentante delle istituzioni: il nuovo procuratore capo etneo Giovanni Salvi. Un piccolo gesto di cambiamento, «uno di quelli che mi hanno fatto pensare che questa offesa andava denunciata», spiega la figlia del giornalista. Che ha già in mente due idee. Una lettera al sindaco, magari con un invito per il prossimo 5 gennaio. E una nuova visita alla lapide, domani mattina alle dieci: «Con il mio sgabellino, per mettere un nuovo mazzo di fiori in cima. Vediamo stavolta quanto dura».
[Foto di Anpi Catania]
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