Farmacia, ultimi testimoni per l’accusa «Una strana nebbia al mattino nei laboratori»

Prima udienza del 2013 del procedimento per disastro ambientale e gestione di discarica non autorizzata all’interno dell’ex facoltà Farmacia di Catania. La giornata si è aperta con una dichiarazione spontanea di uno degli imputati, il professor Franco Vittorio, su quanto testimoniato da Carla Gennaro (ex studentessa della facoltà, figlia di un ex dipendente morto per tumore e per questo parte civile nel processo) su una delle esercitazioni effettuate nei laboratori, il saggio di Lassaigne. Un esperimento condotto in assoluta sicurezza, ha dichiarato Vittorio, che non comporta problemi per la salute. «Quando ero studente io non si faceva nemmeno sotto cappa, si aprivano le finestre, e non è mai successo che uno studente rimanesse intossicato da cianuri».

E’ toccato quindi agli ultimi teste della lista del pm Lucio SetolaViviana Ardita, dipendente dell’ex facoltà di Farmacia, ha raccontato il primo impatto con il lavoro all’interno dei laboratori. Nessuna indicazione su come smaltire i rifiuti, la richiesta era «togli tutto quello che c’è sul bancone». Materiale che finiva quindi dentro i lavandini; i bidoni – ha sostenuto Ardita – sono stati introdotti dal 2003. Ulteriore protezione? Inesistente. «Non c’erano nemmeno i guanti – ha dichiarato la donna – Il primo giorno me ne diedero un pacco da tenere nell’armadietto». Insufficienti anche le forniture di mascherine: «Non ho conoscenze chimiche, ma so cosa vuol dire avere a che fare con un acido concentrato». Le condizioni anomale vengono riportate anche da un altro testimone, Silvano Di Salvo. Impiegato dell’università anche lui, dal 1998 al 1999 ha lavorato dentro i laboratori per poi essere trasferito al settore amministrativo. Nella stanza da lui occupata si trovavano dei comuni armadietti da ufficio con dentro contenitori ossidati all’interno dei quali si trovavano le sostanze utilizzate dagli studenti nelle esercitazioni. Ovviamente, anche lì era insistente il cattivo odore.

Molto densa la deposizione di Antonino Palmeri, dipendente dal dicembre 1992. Uno dei testimoni che ha vissuto tutta la lunga fase presa in esame dal processo, dalle prime preoccupazioni alle analisi richieste in maniera urgente fino alle morti sospette, il sequestro dell’edificio 2 e l’istruzione di ben due processi. Anche secondo la sua testimonianza, soluzioni e reagenti venivano smaltiti nei lavandini. Solo dopo l’introduzione della legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, la 626 del 1994, è iniziata l’opera di formazione fatta da uno degli imputati, l’ingegnere Fulvio La Pergola. Molte le problematiche segnalate da Palmeri: su tutte, una delle più impressionanti è quella descritta come una sorta di nebbia riscontrata al mattino dentro i laboratori e nelle scale di accesso al seminterrato, identificata come vapore di acido cloridrico. E poi le basole in marmo sostituite perché corrose, gli odori persistenti che aumentavano nei giorni di caldo o pioggia, i malesseri quotidiani. «Si stava bene solo il lunedì», ha affermato il tecnico, dopo i due giorni di chiusura dei locali.

Con l’insediamento del professore Ennio Bousquet a capo del dipartimento s’intensificano  le attività di indagine per capire le cause dei problemi. E’ su ordine del docente che Antonino Palmeri ha l’incarico di intervistare professori, studenti, personale: tutti raccontano di avere malesseri. Inizia dunque la lenta messa in sicurezza dei locali, partendo dall’acquisto di armadietti per custodire le sostanze utilizzate e da un inventario completo di tutte quelle presenti nei laboratori. Anche se i lavori erano all’ordine del giorno: «Da quando sono entrato, il dipartimento è sempre stato un cantiere». Svaniti – grazie anche alla messa a punto di un sistema di aspirazione – i vapori mattutini, restano gli odori provenienti dagli scarichi (sia dei lavandini che da quelli posti a livello del pavimento) e dai sifoni danneggiati. Dai racconti del dipendente, la situazione quotidiana è sempre più fosca: «La Pergola dichiarò a me che forse era meglio chiudere tutto», ha affermato Palmeri. L’uomo è stato anche vittima di un malore piuttosto serio che lo ha costretto a un ricovero urgente.

La svolta arriva tra il 2004 e il 2005, quando viene disposto un primo controllo urgente operato da Bruno Catara del nucleo chimico Mediterraneo. Le indagini danno esito negativo, nonostante un esperimento effettuato da Palmeri su ordine del direttore del dipartimento: uno dei bottoncini che avrebbe dovuto rilevare la presenza di sostanze anomale viene lasciato in una stanza nella quale era stata lasciata aperta una provetta di benzene. A sorpresa, l’esito è nella norma anche in quel caso. La maggior parte dei docenti e dei dipendenti si tranquillizza, dunque, anche se la situazione sostanzialmente non varia. Ma nel corso del 2005 la situazione si aggrava tanto da spingere i vertici del dipartimento a scrivere al rettore dell’epoca Ferdinando Latteri una lettera nella quale nessuno dei docenti dichiara di potersi prendere la responsabilità di garantire la sicurezza del luogo. Eppure non tutti prendevano la situazione alla stessa maniera: tra gli scettici c’era chi «diceva che ci fosse un fantasmino che voleva far chiudere il dipartimento». Anche se gli episodi si susseguono, tanto da spingere alla chiusura del dipartimento di Scienze del farmaco per una settimana.

Dopo i vari interventi, gli odori si sprigionano solo in certe condizioni (pioggia o caldo) e si giunge alla conclusione che il problema è sotto l’edificio, nel suolo. Viene coinvolta la ditta It group che effettua i primi rilievi.  In tutto il periodo gli studenti, di qualsiasi grado (allievi, tesisti, dottorandi) rimangono all’oscuro di quanto accade. In breve la situazione degenera ulteriormente: iniziano le morti sospette, viene alla luce il memoriale del dottorando Emanuele Patanè, viene aperta la prima inchiesta e l’edificio sequestrato. «Qualcosa fu incrementato dalla stampa – ha spiegato Palmeri – ma il problema c’era». La reazione tra i docenti e i lavoratori è di estremo stupore, ammutoliti dalla gravità di quanto accadeva. Ma, riconosce il teste, c’era qualcuno che da tempo diceva che la soluzione migliore era chiudere: Giovanni Puglisi e Paolo Bonina (entrambi imputati nel processo) e il prof. Bousquet.

La prossima udienza, venerdì 25 gennaio, vedrà ancora protagonista Antonino Palmeri che dovrà essere controinterrogato dai legali delle difese. Toccherà quindi ai teste chiamati dalle parti civili.

Carmen Valisano

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