Leonardo Vitale e la pazzia Storia del primo vero pentito di mafia

La morte di Antonino Calderone richiama alla mente un’altra vita, ancora più significativa nella lotta alla criminalità organizzata. Parlo di Leonardo Vitale, il primo vero e proprio pentito di mafia. La sua storia ha un che di surreale, distopico. Bisogno sentirla due o tre volte prima di crederla. Ma è prova tangibile del potere mafioso nella società in cui è radicato.

Ne L’Uomo di Vetro, libro (e poi film, nel 2007) che narra la sua vicenda, Leonardo è rappresentato come un antieroe. E’ un criminale, un assassino, eppure riesce a tramutarsi in martire e simbolo grazie al forse più difficile atto di coraggio (e insensatezza – le due cose, in ambienti estremi, purtroppo equivalgono) del suo tempo: rompere il patto d’omertà.

Il piombo di una lupara conficcato nel cuore di un certo Vincenzo Mannino gli ha permesso di entrare nell’albo degli uomoni d’onore palermitani nel 1960. Di strada, nei dieci anni a venire, ne ha fatta abbastanza. E’ diventato un uomo chiave nel business dell’estorsione di imprese edili, negli omicidi per la regolazione di conti e nei sequestri. E proprio a causa di un sequestro si ritrova in manette, nell’agosto del 1972.

Un mese e mezzo in cella, da solo, l’ha convertito. Mi chiedo cos’abbia poi mosso le sue gambe verso la Squadra Mobile di Palermo nel marzo del 1973 – se fede, stupidità, coscienza, giustizia o un misto di tutto. Ciò che conta è che rompe il silenzio su un’organizzazione che non doveva esistere. Davanti a Bruno Contrada, allora dirigente della sezione investigativa (poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa), fa i nomi eccellentiCianciminoRiinaCalò. Pronuncia due parole mai sentite prima: Cosa Nostra. Rivela decine di omicidi, dozzine di estorsioni e atti criminosi.

Ogni accusa partita dalle informazioni di Leonardo cade. Senza prove, i fatti non sussistono. E se i fatti non sussistono è evidente che Leonardo mente. O peggio, che sia un malato mentale. La seconda ipotesi diventa quella abbracciata dagli investigatori. Solo uno psicotico con manie cospirative avrebbe affermato che centinaia di omicidi e altri crimini siano tutti stati orchestrati da una cosidetta ‘Cupola’ di famiglie malavitose e stimati politici. Solo un pazzo con troppa immaginazione avrebbe raccontato che ai novizi di questa Cosa Nostra si punge un dito con una spina di arancio amaro, bruciando un’immagine sacra e facendogli baciare in bocca tutti i presenti. Nelle migliori tradizioni proto-massonico-templari.

Così, nel 1974 Leonardo si ritrova di nuovo in cella, stavolta in un manicomio a Barcellona Pozzo di Gotto, vicino Messina. Ha detto la verità, e l’hanno preso per matto. La porta si riapre dieci anni dopo. Ma gli ex-compagni d’onore non l’hanno dimenticato. Due mesi dopo la libertà, degli spari in faccia lo accolgono all’uscita di una messa domenicale.

Il filosofo Foucault ha dimostrato che la linea che separa il pazzo dal sano è tracciata dai poteri che più travolgono una società, che la definiscono, che le mostrano ciò che è vero e ciò che è falso. La chiusura in manicomio di Leonardo Vitale prova quanto fossero intricate le mani della mafia nei poteri ufficiali almeno fino agli anni ‘80. Tanto da non renderlo una minaccia ma solo un infermo che starnazza su una realtà che non è.

Le cose, fortunatamente, sono cambiate. E’ il progresso dell’antimafia.

[Immagine del film L’uomo di Vetro, via Movieplayer. Il post originale è su Il Mafioscopio]

Stefano Gurgiullo

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