«La mia impressione è che fossero più interessati a risolvere gli effetti che il problema in sé». Sostanze tossiche sversate nei lavandini, impianto di areazione non bilanciato, terreno potenzialmente contaminato. Che nei laboratori dell’ex facoltà di Farmacia di Catania le condizioni non fossero adeguate sembra non essere stata una sorpresa. Eppure nessuno si è adoperato a fondo per risolverne le cause. È questo il quadro che emerge dalla prima testimonianza ascoltata ieri al processo in corso al Tribunale di Catania per disastro ambientale e gestione di discarica non autorizzata nei confronti di otto imputati tra dirigenti, professori e tecnici amministrativi delluniversità catanese all’epoca dei fatti. Ad essere chiamato a testimoniare è stato Domenico Prestia, fino al 2008 geologo della It group, società di indagine e bonifiche ambientali a cui l’università etnea si è rivolta nel 2005 per il caso del laboratorio incriminato.
Un contatto personale di Paolo Bonina (uno dei cinque membri della commissione sicurezza, tutti imputati) che, a fine giugno del 2005, richiede un incontro informale con gli addetti della ditta «a seguito dei vari episodi di malessere manifestati da studenti e dipendenti», racconta il geologo. Bruciore alla gola e al viso, nel migliore dei casi: una sensazione sperimentata dallo stesso testimone durante una delle sue visite durata un paio d’ore nell’ex facoltà. A quel primo incontro il geologo non prende parte ma i colleghi, al ritorno dal sopralluogo etneo, gli raccontano di una «situazione che poteva essere abbastanza critica e che faceva pensare alla presenza di sostanze inquinanti nel terreno». Sensazione che non migliora con i primi sopralluoghi: nei laboratori non tutte le cappe avevano i filtri, il sistema di areazione era sovradimensionato «tanto da poter provocare l’estrazione degli eventuali vapori inquinanti» , le fognature risultavano bucate in più punti. «Diversi dipendenti ci hanno poi raccontato della cattiva abitudine di sversare i reflui nei lavandini», aggiunge Prestia. La relazione finale della It group non è positiva: c’è il rischio concreto di «una contaminazione del sottosuolo con dispersione aerea – riferisce il geologo – Il nostro consiglio è stato quello di non utilizzare i locali».
La società propone allora all’ateneo catanese di seguire la procedura standard: un’indagine ambientale attraverso dei carotaggi, una bonifica e la messa in sicurezza del luogo. Il tutto seguito dalla certificazione finale. Ma dirigenti e membri della commissione di sicurezza tergiversano. Negano i carotaggi e preferiscono optare per una messa in sicurezza d’emergenza. È il novembre del 2005 e tutti sembrano avere fretta di risolvere la questione. Ma il contratto viene firmato solo a gennaio del 2007. L’università, intanto, decide di anticipare alcuni adeguamenti. «Lavori di manutenzione li definisce Prestia Senza, tuttavia, che sia mai stato accertato cosa ci fosse davvero nel sottosuolo». È l’estate del 2006 quando il geologo si presenta per un sopralluogo ufficioso. «Volevo verificare l’eventuale presenza di radioattività spiega Ci hanno insospettiti alcuni particolari. Come il marmo delle scale che portano al seminterrato dei laboratori in gran parte corroso e la vegetazione sofferente di fronte all’edificio». In quell’occasione, però, Prestia trova già gli operai.
«Il terreno attorno all’edificio era tutto scavato per lavori di rifacimento della rete fognaria», racconta. Gran parte della pavimentazione era già stata ripristinata. «Mi sono arrabbiato moltissimo aggiunge Perché non eravamo stati informati, ma soprattutto perché poteva essere l’occasione adatta per campionare il sottosuolo». Sempre a sorpresa, il geologo trova rinnovato anche l’impianto di areazione. A questo punto, preso atto della situazione, la società decide di cambiare e adeguare il progetto al nuovo stato di cose. Un piano che diventa definitivo a giugno del 2007. «Ci hanno consentito dei carotaggi, ma solo nell’area esterna, fuori dai laboratori», spiega Prestia. Analisi che non hanno confermato le percentuali di sostanze inquinanti ipotizzate, comunque inferiori al limite fissato per legge. «Niente a che vedere con i lavori attuati prima dall’università?», chiede il pubblico ministero Lucio Setola. «Beh, con il terreno aperto sotto i 40 gradi del sole estivo, se anche ci fossero state delle sostanze contaminanti si sarebbero volatilizzate», ammette l’esperto. Il cui contro esame da parte delle difese è previsto per la prossima udienza, il 22 giugno.
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