«Non aveva più senso continuare. Le cose non funzionavano, evidentemente la Fabbrica del decoro non è stata presa sul serio da parte dell’amministrazione». Renato Camarda se ne va sbattendo la porta. Con un mandato scaduto a marzo, aveva scelto di continuare a impegnarsi «nella speranza che riuscissimo a terminare il lavoro intrapreso per il regolamento dei Beni comuni, ma così non è stato». Così lui, già attivista dell’associazione antimafia Libera e del Comitato per la legalità nella festa di Sant’Agata, dopo avere accettato un anno fa la presidenza del laboratorio sul decoro urbano cittadino, lascia con più di una punta d’amarezza. Se pure la Fabbrica del decoro nasceva per mettere insieme le associazioni etnee al servizio di un proficuo dialogo con Palazzo degli elefanti, i risultati non sono stati quelli sperati. «Da statuto dovevamo fare due cose: il regolamento sul Decoro urbano, che aspetta il voto in Consiglio comunale e che è stato finito prima dell’estate scorsa e accolto con parere favorevole da parte della commissione Urbanistica – continua Camarda – E poi dovevamo fare il regolamento sui Beni comuni, che però si è arenato di fronte all’opposizione di una parte dell’amministrazione». E il riferimento, in questo caso, va all’assessorato al Patrimonio.
La Fabbrica del decoro vede la luce ad aprile 2015 e mette allo stesso tavolo il Comune di Catania e una cinquantina di associazioni che operano sul territorio. Poco meno di un anno dopo, a marzo 2016, ne diventa presidente Renato Camarda, volto storico della società civile catanese. «Sin dal momento in cui ho deciso di assumermi questo impegno, ho comunicato che il mio obiettivo sarebbe stato lavorare sulla legalità nei quartieri del centro storico – sostiene Camarda – Abbiamo fatto sopralluoghi nei posti più noti e abbiamo scoperto che le criticità maggiori derivano da alcuni esercenti che operano al di fuori da ogni legge. Lo abbiamo mostrato all’assessore Salvo Di Salvo e ai funzionari di varie direzioni che di volta in volta sono venuti con noi». Dal volume troppo alto della musica all’occupazione abusiva del suolo pubblico, passando per «mura imbrattate, insegne oltraggiose e assolutamente nessuna cura per i palazzi storici che circondano piazza Teatro Massimo». Una serie di fatti sottolineati dai residenti i quali, afferma l’ex presidente della Fabbrica, «hanno subito minacce e intimidazioni di ogni genere. Serrature di porte riempite di colla, automobili rigate, insulti. Comportamenti al di fuori di ogni norma, nei confronti di cittadini che, nel tutelare la propria pace personale, fanno anche una battaglia per tutta la città».
Nonostante i tavoli tecnici, gli incontri e gli inviti, «da tutto questo lavoro non è mai uscito nulla. Siamo andati con il capo di gabinetto Beppe Spampinato, che ha potuto vedere quello che denunciavamo – aggiunge Renato Camarda – Non è successo niente neanche in quel caso e noi siamo di fronte a una situazione di profonda frustrazione. Abbiamo scritto regole sul decoro urbano, ma non sono ancora state votate». Nel frattempo si è fatto il regolamento sui dehors, «e chissà dove è finito il decoro urbano. Eppure non si possono fare i primi senza pensare ai secondi, e viceversa. Noi non sappiamo in che direzione si sta andando». Né sarebbero arrivate risposte soddisfacenti da parte dell’amministrazione. «Abbiamo coinvolto il comandante della polizia municipale, Pietro Belfiore – racconta ancora – È venuto, c’era qualche vigile al seguito che multava le auto. E tutto il resto? I decibel che non fanno dormire i residenti? Le tendopoli montate a caso fuori dai locali?».
Un nuovo riferimento, oltre alle zone già note, è via Gemmellaro, la prosecuzione di via Santa Filomena. Lì negli ultimi mesi è nato più di un locale notturno ed è lì che, secondo il referente di Libera, bisognerebbe andare a prevenire i disagi: «Chi vive in centro non è contro la movida – precisa – è per il rispetto delle regole: si può fare tutto, purché si seguano le norme. La polizia municipale non fa il proprio dovere e non le fa rispettare. Sono troppo vecchi? Sotto organico? Si trovi una soluzione». E se il Comune vuole deputarla alle associazioni, che almeno si mostri partecipe. «Il silenzio è sintomo di abbandono e mi sono stancato di mettere impegno ed energie in cose che a molti, dentro agli uffici, evidentemente non interessano». La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il regolamento dei Beni comuni, preparato dalle associazioni («Con grande fatica, per trovare la mediazione che fosse valida per tutti») e stoppato dall’assessorato al Patrimonio. «Ci contestano il comma 3 dell’articolo 20 che riguarda l’autofinanziamento per le associazioni che ricevono in affidamento i beni». Per mesi Camarda avrebbe atteso una risposta alle sue proposte di dialogo, «e ho trovato solo porte chiuse e telefoni ai quali non rispondeva più nessuno».
Così, almeno per questo progetto, ha scelto di gettare la spugna. «Se al Comune, o a qualche parte del Comune, tutto quello che abbiamo fatto non interessa, benissimo. Non sono abituato a fare cose in cui non credo. In questo ci ho creduto, ma evidentemente mi sono sbagliato». Una presa d’atto che fa i conti anche con la stanchezza: «Io ho dato quello che potevo ma dal Comune non è arrivato niente. All’inizio si sono vantati molto di questa proposta, ci credevano – commenta – O hanno cambiato idea o non so cos’altro». Fatto sta che «noi siamo stati esclusi. Adesso trovino altri modi. Io sono giunto alla conclusione che la Fabbrica del decoro non sia mai stata presa seriamente né accettata. Forse a qualcuno non siamo piaciuti. Eppure di cose belle, con altri uffici, ne abbiamo fatte: dal comitato per la legalità a Sant’Agata, passando per un progetto di orti urbani a San Giovanni Galermo».
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