«Sappiamo che l’ex cementificio oggi è oggetto di interesse di una società pronta a trasformare parte dell’area in un hotel imponente che, di certo, non passerà inosservato. Ma oggi siamo qui a stigmatizzare la possibilità che le istituzioni consentano una speculazione edilizia vecchio stile nella nostra città». Con queste parole, il segretario provinciale della Fillea di Catania Vincenzo Cubito ha aperto l’incontro di oggi organizzato per illustrare il dissenso del sindacato a una nuova cementificazione dell’area dell’ex Italcementi, nella zona del porto del capoluogo etneo. Al dibattito hanno preso parte anche il segretario generale della Fillea Giuseppe Pistorlo, i presidenti di Arci Catania Matteo Iannitti e Nancy D’Arrigo, il segretario confederale della Cgil di Catania Peppe D’Aquila, e il responsabile della redazione de I siciliani giovani Giovanni Caruso.
Tra i privati interessati a investire sui sei ettari disponibili, ci sarebbero anche l’Ex Cem srl, con la partecipazione della famiglia Caruso di Paternò e del commercialista Antonio Pogliese, papà dell’ex sindaco e oggi senatore di Fratelli d’Italia Salvo Pogliese. «Non possiamo consentire un’eventuale joint venture in favore della società Porto con questa finalità e utilizzando soldi pubblici», ha sottolineato. Nei giorni scorsi, anche il presidente dell’Autorità di sistema portuale della Sicilia Orientale Francesco Di Sarcina, ha dichiarato che «sarebbe il porto a entrare nella città anziché la città a entrare nel porto. È una cosa che ha un suo riflesso sulla viabilità e sull’intera organizzazione urbanistica dell’area». E il porto entrerebbe nella città «recintando una porzione della città stessa». Un’ipotesi che disturberebbe in primo luogo i catanesi, oramai desiderosi di vivere sempre di più e meglio l’area in questione. Sempre lo stesso Di Sarcina – che assicura di non avere preclusione verso alcuna soluzione purché verificata – ha aggiunto che «operazioni a basso costo potrebbero invece dare continuità all’area portuale lasciando ai cittadini stessi la possibilità di scegliere come utilizzare e fruire quella fetta di territorio a ridosso del cento storico».
Per la Fillea di Catania, dunque, la città «non ha bisogno di nuovo cemento e le conseguenze di quello già in eccesso versato nei decenni scorsi, le vediamo ogni qualvolta non si riesce a gestire una ordinaria giornata di maltempo. Si è già costruito troppo e male. Non ci convince neppure la tesi secondo la quale, la nuova cubatura da costruire sostituirebbe tale e quale la precedente». Ma l’incontro di oggi è solo il primo di una serie di confronti pubblici su casi analoghi a quello dell’ex cementificio. Tutti rientrano nell’ambito della campagna Quale piano per la città?. Catania intanto continua a rimanere sprovvista di Prg; per le sigle è il risultato di una precisa scelta politica. «Senza il Piano, l’amministrazione comunale si sente in diritto di prendere in considerazione i progetti dei privati che di certo non vengono concertati con i cittadini – conclude Cubito – né con le parti sociali e ancor meno in una logica di sistema che privilegia il territorio. Questo è inaccettabile».
Per presidenti dell’Arci di Catania «le scelte urbanistiche del nostro territorio negli ultimi 50 anni non sono mai state fatte a favore dei cittadini. Le aree libere sono state divorate dalle costruzioni e dal cemento. Nonostante la città ha sempre meno abitanti – sottolineano Iannitti e D’Arrigo – vengono autorizzate sempre più costruzioni. In pochissimi si sono arricchiti e in troppi soffriamo l’assenza di verde, di affacci sul mare, di spazi pubblici e gratuiti. Siamo qui per dire alla città che la programmazione urbanistica non è una cosa che deve riguardare solo i tecnici, gli addetti ai lavori o i ricchi signori proprietari di terreni e palazzi: riguarda tutti i cittadini, la nostra qualità della vita, il diritto di vivere in un territorio accogliente e sicuro. Siamo qui per denunciare la speculazione edilizia – aggiungono – i nuovi progetti di cementificazione del territorio, i tanti abbandoni che potrebbero diventare occasioni di sviluppo sociale sostenibile. Lo facciamo partendo da questo luogo emblematico: l’ex cementificio. Acquistato da privati dalle storie opache, per essere rivenduto a dieci volte il suo valore al pubblico. Un’area che poteva essere una grande occasione di rigenerazione per la città, trasformata nell’ennesima speculazione a vantaggio dei privati».
Per il segretario di Fillea Sicilia Giovanni PistorIo «c’è bisogno di politiche orientate al green building, alla rigenerazione urbana, al recupero delle periferie urbane ed è indispensabile che la cittadinanza venga chiamata a partecipare sin dalla fase di elaborazione. Viceversa, si continua a consegnare il territorio all’intreccio di interessi che mette a rischio il nostro presente e ipoteca il futuro». Gli fa eco il segretario confederale della Cgil di Catania Giuseppe D’Aquila: «Non si può cambiare il volto e la funzionalità di un territorio senza un confronto a tutto campo con le istituzioni, a partire dal Comune. Catania è fortemente deficitaria sulla progettualità di Sistema e su questa dobbiamo agire. Insieme agli altri sindacati – aggiunge – nei mesi scorsi, ci siamo confrontati con la presidenza dell’autorità portuale e di certo continueremo a insistere affinché qualunque scelta venga fatta dentro un ottica di sistema per cogliere le opportunità di realizzare nuove e moderne infrastrutture. Oggi è tempo di preservare la nostra città da nuovi errori. L’area del Porto di Catania deve essere inquadrata, per la sua strategicità, nell’ambito della restituzione di uno spazio aperto alla città da un lato e dall’altro deve agganciare nuove e moderne infrastrutture. Se viene meno il confronto collettivo sulle cose da fare, rischiamo di far prevalere l’interesse privato a discapito del bene comune».
Ed è stato il vicedirettore de I siciliani giovani Giovanni Caruso a ricordare come «negli anni ‘60, Giuseppe Fava, nella sua inchiesta processo alla Sicilia ci raccontava la speculazione edilizia e lo sbancamento e la deportazione degli abitanti di San Berillo, speculazione ancora oggi aperta, inchieste che continuarono su I siciliani. A quegli anni, seguirono molte altre speculazioni come Librino, Le ciminiere di viale Africa, l’interporto, il Pua, il cementificio e, perfino, la speculazione dentro il porto di Catania. Questa idea di mettere in luce le nuove speculazioni edilizie, denuncia anche la presenza dei nuovi comitati d’affari e di nuovi “cavalieri della apocalisse mafiosa“. Il tutto con la complicità della cattiva politica e delle cattive amministrazioni che ci hanno governato. Questo nuovo percorso – – conclude Caruso – deve avere una continuità».
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