Eurozona, un palazzo senza fondamenta…

Abbiamo chiuso la puntata precedente con la sentenza di Godley: “Se un Paese, una regione non ha alcun potere di svalutare, e se non può beneficiare di un sistema di trasferimenti fiscali che tendano ad eguagliare le condizioni, allora non c’è nulla che possa impedirgli di soffrire di un processo di declino cumulativo e definitivo che alla fine farà sì che l’emigrazione sia l’unica alternativa alla povertà e all’inedia”.

L’economista londinese ebbe un ruolo non secondario nella decisione del Regno Unito di non adottare la moneta unica. Eppure non era un “euroscettico”. Quello che trovava assurdo, dilettantesco, “grezzo” per usare le sue parole, era che la costruzione della moneta non fosse accompagnata dalla conseguente costruzione delle istituzioni economiche in grado di svolgere una politica economica complessiva, per l’intera area. Cioè che rimanesse la politica fiscale della Germania, dell’Italia, della Francia ecc.

Detto in altro modo. Lo Stato si occupa di varie cose: la distribuzione delle tasse; l’allocazione della spesa; il livello ottimale dei sevizi pubblici, ecc. Com’è facile comprendere, le tasse servono per pagare i servizi (la sanità, la scuola, i trasporti, ecc.). La differenza viene finanziata in due modi: chiedendo un prestito (si tratta dell’emissione di titoli pubblici: faremo un accenno alla fine e ne parleremo più diffusamente un’altra volta) oppure, ed è quello che ci interessa qui, prelevando denaro dalla banca centrale.

Come si intuisce, la moneta unica ha tagliato di netto la seconda possibilità, quella di prelevare denaro dalla banca centrale. Insomma, i governi una volta andavano dalla banca centrale e dicevano qualcosa del tipo: abbiamo bisogno di X lire (franchi, marchi, fiorini), stampale. Questo era il motivo per cui la banca centrale era controllata dal governo. Non era soltanto, come si vuol far credere adesso, una “voracità della politica”, il tentativo di mettere le mani all’interno dell’istituto di credito per eccellenza. L’utilizzo della Banca centrale era strumentale per correggere le distorsioni che si venivano a creare nel Paese.

Com’è noto, in Italia dal 1981, si è consumato il divorzio tra Banca d’Italia e Governo e da allora la Banca è stata indipendente. E come è arcinoto la BCE è indipendente da qualsiasi cosa abbia a che fare con la politica e con l’esercizio del controllo da parte dell’elettorato. Il risultato? Come si dice, è sotto gli occhi di tutti: non esistendo un organismo politico in grado di gestire gli squilibri fra le varie zone d’Europa si è imposta la retorica dei tedeschi virtuosi e dei greci (portoghesi, italiani, tra un po’ francesi) pigri sostanzialmente per impedire che tali “squilibri” venissero compensati, come succede, per esempio, nei famosi Stati Uniti.

Il governo degli Stati Uniti quando verifica che tra la California e l’Idaho ci sono squilibri, non comincia col dire che l’Idaho deve darsi una regolata: si interroga su come colmare le differenze, anche attraverso massicci trasferimenti di ricchezza. E anche attraverso l’azione della Federal Reserve (la Banca Centrale USA). Ma, appunto, questo è quello che è sempre successo: alcune zone del Paese vanno peggio di altre e quelle che vanno meglio le aiutano. E’ quello che in fondo succede anche in Italia.

Anche in Italia, ad un certo punto, 150 anni fa, è stata istituita la moneta unica, la Lira. I ducati vennero ritirati. Ma a nessuno era saltato in mente di far condurre la politica fiscale e monetaria del Regno di Sardegna a Torino e quello del Regno della due Sicilie a Napoli. Si chiamerebbe “solidarietà nazionale”, per usare dei paroloni.

Certo, è necessario che si capisca che gli squilibri non sono da addebitare a caratteristiche razziali del tipo “nord europei alti biondi e lavoratori Vs mediterranei bassi, scuri e scansafatiche”. Perché dietro a ridicole discussioni di carattere “culturalista” c’è solo razzismo. Gli squilibri macroeconomici non c’entrano nulla con le questioni contingenti quali la corruzione, la casta, i politici corrotti e via sproloquiando per luoghi comuni. Ma proprio nulla.

Rimarrebbe la seconda strada, quella del prestito attraverso l’emissione di titoli pubblici. Ci sarebbero due questioni da affrontare. Il valore dei titoli segue l’andamento di ogni altra merce. Se al mercato trovate migliaia di pesche e pochi pomodori il valore delle pesche sarà molto minore di quello dei pomodori. Non ci occuperemo di questo aspetto, ma del secondo, quello relativo alla fiducia.

I “titoli pubblici” assomigliano a delle cambiali. Tu mi dai 100 euro e io in cambio te ne restituisco 100+X. Quell’X è il famoso “tasso di interesse”. Dovrebbe essere chiaro che maggiore è il tasso di interesse meno conveniente per lo Stato è il prestito. Quindi bisogna mantenere il più basso possibile il tasso di interesse. Il tasso di interesse, lo sapete tutti, dipende principalmente dall’aspettativa di solvibilità del prestito. Se qualcuno di cui mi fido mi chiede 100 euro e mi dice che me li darà tra venti giorni non ci sono problemi. Ma se me li chiede qualcuno di cui non mi fido dovrà invogliarmi a prestarglieli in qualche modo.

Uno di questi modi è quello di dirmi: ti chiedo 100 euro, ma tra 20 giorni te ne restituisco 150, cioè cerca di rendermi conveniente il prestito. Siccome io mi fido della Germania, i suoi titoli pubblici li compro, accettando di guadagnarci poco. Presto 100 e in cambio, sicuramente, ottengo 105. Dell’Italia mi fido poco, quindi se davvero vuole da me 100 deve invogliarmi, convincermi. Non basta certo che mi dica ti restituisco 105. Neanche che mi restituisca 110. Insomma deve alzare il mio guadagno. La differenza tra quanto è disposta a darmi la Germania e quanto è disposta a darmi l’Italia è il famigerato “spread”.

Ci sarà una quota per cui ne varrà la pena. Accetto il rischio di perdere il mio denaro in cambio di un guadagno enorme. Per quanto non ci si possa fidare dell’Italia, rimane pur sempre uno dei Paesi più industrializzati al mondo, per cui posso ragionevolmente pensare che il mio prestito prima o poi mi verrà restituito. E se il guadagno è tanto più alto di quello che mi verrebbe dal prestare i soldi alla Germania, ecco che allora comincio a farci più di un pensierino.

Quindi, come tutti voi sapete, ecco che il mercato non fidandosi dell’Italia chiede interessi alti. Ecco a cosa servirebbe la “fiducia” dei mercati: ad abbassare il tasso di interesse dei titoli. Se si abbassasse il tasso di interesse la “restituzione” del prestito sarebbe molto meno onerosa. Invece di restituire 50 dovrei restituire 25. E qui 25 risparmiati andrebbero… dove? Ci fermiamo qui per oggi.

 

 

 

Roberto Salerno

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