«Se dovessi pensare a qualcosa di indimenticabile su Catania, il pensiero va subito alle polpette di cavallo». Sara Pichelli ride. È una delle più grandi disegnatrici del panorama mondiale, cittadina romana e Marveliana d’adozione. In dieci anni di lavoro in una delle più grandi realtà del fumetto mondiale, sente di essere cambiata. «All’inizio il mio tratto era più grottesco. Poi magari è anche perché la vita ti piega e si vede nello stile. Diventi più duro», dice in un’intervista a MeridioNews a margine della sua partecipazione all’Etna comics 2017.
Sara, ormai sei nella grande industria da dieci anni. Cosa è cambiato dai tuoi esordi e quali obiettivi personali pensi di avere raggiunto come artista?
«Sono cambiate tante cose e nessuna allo stesso tempo. Lavoro da dieci anni sempre con la Marvel, ormai conosco bene le dinamiche e ogni tanto finalmente riesco anche ad anticiparle. Questo posso ritenerlo uno dei miei successi, che mi permette di lavorare meglio, soprattutto in funzione delle scadenze. Il fatto che si sia alzato il livello delle storie e che il mercato sia estremamente ricco e diversificato è la cosa che più di rilievo ho visto cambiare in questi dieci anni».
Lavori da anni con Brian Micheal Bendis, siete uno dei più noti team creativi e avete lavorato su Miles Morales, il nuovo Spiderman, e sui Guardiani della Galassia. Siete ormai una coppia collaudata, dove pensi abbiate raggiunto – come team – il picco narrativo?
«Assolutamente qualsiasi cosa relativa a Miles. Io ho fatto una lunga run sui Guardiani e, inaspettatamente, mi sono anche divertita; ma le cose più belle di sicuro sono uscite su Miles Morales».
Miles Morales è una tua creatura. Quale credi che sia stato l’impatto sociale di personaggi appartenenti a minoranze etniche con questo nuovo corso comics?
«Con la parola impatto tu intendi qualcosa di inaspettato. Questo tipo di manovra, invece, chiamiamola diversity anche se è una parola che non mi piace, è in realtà qualcosa che viene dal basso, un desiderio che viene dal pubblico, è una vera e propria esigenza di realismo. In America, la diversificazione etnica nelle storie è un tema molto sentito. La mia opinione è che questo fenomeno sia arrivato anche troppo tardi».
Ma c’è stata comunque una polemica, sollevata da molti lettori, sul fatto che la ricerca forsennata del politically correct abbia sacrificato la qualità generale delle storie. Pensi ci sia del vero?
«Io penso che questo meccanismo sia stato innescato da Miles, poi a seguire ci sono stati Miss Marvel, l’Hulk cinese e il Thor donna. Riguarda più la saturazione del mercato che fa perdere un po’ quella che era la magia iniziale e l’autenticità delle storie. È anche fisiologico visto che è un business e, quando un mercato è così pieno, a farne le spese a volte sono le storie. Ma è il lettore che comanda, secondo me rispetto al feedback del pubblico la Marvel ha fatto un passo indietro».
Settimane fa, avendo passato qualche giorno nella capitale, non ho potuto fare a meno di vedere che la città era tappezzata di manifesti dell’Arf, il festival del fumetto che si tiene ogni anno a Roma. Manifesto che tu hai realizzato. Da cittadina romana, quali sensazioni ti ha suscitato?
«Beh, vedere un proprio pezzo sugli autobus, sui muri, sui biglietti della metro è stata davvero un’emozione. Ancora più emozionante era ricevere messaggi e telefonate di amici e non, che ovunque si trovassero mi inviavano delle foto. Ho una cartella piena di foto della città con i miei manifesti, una nuova versione di cartoline di Roma by Sara Pichelli».
Vedo che il tuo tratto nei dieci anni di carriera è cambiato notevolmente, pur mantenendo delle caratteristiche distintive del tuo stile. A mio avviso, da cartoonesco è passato a un livello più duro nel tratteggiare i personaggi. È sintomo di una tua maturità artistica?
«Grazie, se c’è un’evoluzione può essere solo positiva. Io non riesco a essere molto obbiettiva: passati trenta secondi, qualsiasi cosa io abbia realizzato per me è vecchia, brutta e la rifarei. All’inizio il mio tratto era sicuramente più grottesco, venendo appunto dall’animazione si sentiva ancora l’influenza di un certo tipo di lavoro. Pian piano, dedicandomi ai fumetti ed essendone influenzata, qualcosa è cambiato. Poi magari è anche perché la vita ti piega e si vede nello stile, diventi più duro (sorride, ndr)».
Quale personaggio femminile ti sei divertita di più a disegnare? Angela è stata sicuramente un’ottima prova come non la si vedeva dai tempi di Mc Farlane.
«Non ho grandi preferenze, quando devo disegnare un personaggio faccio una ricerca ed è nello studio che trovo il mio divertimento. Sono contenta che la mia Angela sia piaciuta, ma preferivo Gamora; secondo me è un personaggio che ha molto potenziale, sia grafico che narrativo. Mi piacciono queste donne potenti e al limite del borderline».
Cosa pensi di Catania e di questa esperienza?
«Mi sono innamorata di Catania e domani mi trasferirei qui! Mi è piaciuto tutto di questa città e in fiera mi sono divertita tanto. Se dovessi pensare a qualcosa di indimenticabile, il pensiero va subito alle polpette di cavallo! (sorride, ndr)».
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