Vasche per l’acqua potabile, tubature, canne fumarie e coperture di capannoni. Ma anche case e baracche cittadine. A Catania l’eternit è ancora ovunque, soprattutto nei quartieri di più antica urbanizzazione. Nonostante la legge 257 del 1992 vieti da quasi vent’anni l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione, la produzione e, dal 2005, anche l’utilizzo di materiali contenenti amianto. Perché altamente cancerogeno. Ma «la legge non impone al privato la rimozione di manufatti in cemento-amianto a patto che questi si trovino in buono stato di conservazione spiega Antonio Brancato, direttore del dipartimento provinciale dell’Arpa di Catania Il cittadino è obbligato solo a monitorarne periodicamente le condizioni e ad assicurarsi che sia integro». Prescrizione che nel capoluogo etneo è puntualmente disattesa, anche a causa degli alti costi di analisi e interventi.
Più il materiale è degradato, però, più è alto il rischio che si sgretoli o si spacchi, rilasciando nell’aria fibre che, respirate, possono causare l’insorgere di malattie tra cui il tumore al polmone e alla pleura. «Considerato che da diversi anni non vengono più utilizzati manufatti nuovi, possiamo immaginare che il processo di degradamento sia già cominciato da parecchio tempo», spiega Brancato. Come nei tetti del quartiere Picanello, dove le classiche onduline contenenti amianto di certo non in buono stato fanno capolino più o meno uniformemente tra le stradine e i cortili interni intorno alla zona di via Velletri. Qui, tetti sgretolati e lastre spaccate abbandonate nei cortili circondano l’intera zona e distano solo poche decine di metri da villette di nuova costruzione, ma anche da una scuola e un campetto da calcio, dove ogni giorno studiano e giocano i bambini del quartiere. Nessuno si preoccupa, nessuno sa o sembra accorgersi di nulla. «In zone come questa, è meglio stare zitti», commenta un residente. Tacere anche sui rischi sulla salute che, comunque, alcuni non conoscono. «L’ignoranza e una certa mentalità portano la gente, sopratutto a Catania, ad essere strafottente lamenta Brancato Ma il rischio potenziale è alto: i test dicono che anche l’inalazione di una sola fibra può provocare l’insorgere della malattia, anche se questo non capita a tutti».
La legislazione però non aiuta nemmeno quanti volessero segnalare la presenza di materiale contente amianto in città. «Se io vedo che il mio vicino ha una vasca o una copertura in eternit non posso fare nulla», spiega Claudio Torrisi, assessore all’Ambiente del Comune di Catania. Nonostante basti un poco di vento a propagare la nocività del materiale. «Nessuno può obbligare il privato a intervenire. E deve farlo a sue spese». La trafila è lunga, complessa e molto costosa. Dismettere a norma di legge una comune vasca per l’acqua potabile, ad esempio, costa circa 400 euro. «Bisogna affidarsi esclusivamente a ditte con autorizzazione regionale o provinciale avverte il tecnico dell’Arpa Saranno loro a stilare un piano che dovrà essere approvato dall’Asp di appartenenza, per assicurarsi che le operazioni siano condotte in maniera tale da non disperdere fibre nell’ambiente». A lavori di bonifica ultimati, i materiali devono essere poi trasportati da mezzi idonei e conferiti in discariche autorizzate al trattamento di materiale contenente amianto. Tutte operazioni di cui «deve essere garantita la tracciabilità ricorda Brancato e al termine delle quali deve essere rilasciato un certificato di avvenuto smaltimento». Per chi, prima di un eventuale investimento, volesse accertarsi dello stato di conservazione del proprio materiale, le cose non vanno comunque meglio. A costare, e tanto, sono infatti anche «le analisi specifiche fatte da laboratori pubblici, regionali o provinciali, e privati» che il cittadino periodicamente dovrebbe svolgere. Ma, aggiunge Brancato, «nessun ente si occupa di monitorare il privato affinché faccia controllare i materiali di sua proprietà».
Lunghe trafile e spese ingenti che a Catania si trasformano in illegalità, con chi abbandona i rifiuti pericolosi nei cassonetti o nelle discariche abusive. Secondo il Comune incentivare i cittadini non è possibile. «Noi non possiamo intervenire e l’incentivazione spiega Torrisi è già stata fatta abbassando le tariffe per lo smaltimento». Attraverso le convenzioni per tariffe agevolate stipulate dall’amministrazione con alcune ditte. «Ma le spese restano comunque alte perché non ci sono discariche in Sicilia e lo smaltimento finale deve essere fatto al nord Italia o addirittura in Germania», aggiunge l’assessore. E per quanti davvero ignorano il rischio eternit? A Catania non esiste un numero ufficiale o un ente dedicato a cui rivolgersi per ricevere consulenza su smaltimento e conservazione. E nemmeno è mai stata realizzata una campagna capillare d’informazione. «Chiamando la segreteria del mio assessorato il cittadino può reperire informazioni sulle ditte autorizzate alla rimozione», sottolinea Torrisi. Che promette l’inserimento di un capitolo sull’amianto nella prossima campagna comunale di comunicazione per la raccolta differenziata.
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