Erri De Luca prende le scale per raggiungere il primo piano della libreria Feltrinelli. Il pomeriggio arranca piovoso verso sera e manca un’ora prima che inizi l’incontro con il pubblico per la presentazione del suo ultimo libro, La Parola Contraria. Stringe ogni mano con garbo e, pronunciando un amichevole ma secco ‘Erri’, inchioda gli occhi negli occhi dell’interlocutore. «Giusto qualche minuto, non di più, perché Erri vuole essere puntuale». Con questa frase esce di scena l’organizzatrice dell’evento, lasciandoci soli – più o meno – io e Erri, Erri e io.
Le prime domande, inevitabilmente, non possono che vertere sulla vicenda giudiziaria di cui è protagonista ma, è sereno mentre parla del processo che lo vede imputato del reato di istigazione al sabotaggio e al danneggiamento – nella fattispecie il cantiere TAV/ LTF – e si dice pronto a commettere il reato reiteratamente, perché se di reato si parla, è reato d’opinione. Il disastro ambientale, la corruzione che serpeggia dietro le grandi opere, la salute pubblica minacciata, la mala informazione, «la mafia reale, la mafia vera» e una giusta ribellione cittadina sono argomenti che stanno alla base del phamphlet e che sono cari anche all’ultimo dei siciliani.
Tra i sostenitori del prolifico scrittore infatti, i più solidali, i più compatti, sembrano essere gli attivisti del movimento No Muos, figlio diretto del No Tav, che in questa infelice circostanza hanno visto in pericolo anche la loro opinione, la loro libertà di espressione, di ribellione. De Luca si esprime in favore del movimento e fa riferimento alla resistenza civile come a un valore di fronte al losco disequilibrio che oggi sussiste tra ciò che è il beneficio del privato e le conseguenze che cadono sul pubblico, finanche sull’integrità fisica del cittadino. Sottolinea più di una volta l’importanza delle parole in «una giustizia che parta dal basso», dai cittadini, che sono poi «i maggiori attori delle guerre moderne»: Continua facendo leva sul tema: «Lo strumento della parola è un dono che va onorato». E, riferendosi all’importanza di onorare la parola data, incalza: «Quando pronunci le parole esse sono al tuo servizio, dopo che le hai pronunciate sei il loro servo».
Tra una domanda sul reato di Parola Contraria e una sull’informazione politica che è sempre più informazione pubblicitaria, parla dell’informazione oggi e della figura del giornalista. È un ruolo di assoggettamento, quando non è totalmente «un ruolo da impiegato» al soldo della politica, delle aziende e degli interessi con potere d’acquisto e alla mia domanda: «Quale consiglio darebbe, dunque, a un giovane giornalista?» risponde, quasi – quasi – sorridendo: «Nessuno». In realtà, subito dopo una pausa di silenzio, chiama in causa la difficoltà del mestiere, il filo sul quale chi fa informazione deve muoversi e sembra quasi provare compassione per chi non riesce a distinguere da che parte stare».
Le sue ultime parole prima della presentazione sono proprio sulla presa di coscienza, sulla scossa intellettuale di cui questo paese necessita: «Mi sono reso conto che ci siamo disabituati alla distinzione delle parti, non sappiamo distinguere la parte dalla quale stare». «Perché?» chiedo. «Il perché non lo so. Ma io ogni tanto mi impongo di scegliere, e scelgo».
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