I morti continuano. Sono arrivati a 13 dall’inizio di aprile a maggio. Tutti ex ospiti della casa di riposo Don Bosco di Caltagirone, la residenza in cui sono stati contagiati dal Covid-19 oltre il 90 per cento delle persone anziane che lì vivevano. Il numero di chi non ce l’ha fatta continua a salire: quando il caso è esploso, con la drammaticità dei 41 contagiati tra personale e pazienti, i morti erano quattro. E a poco a poco sono cresciuti, raggiungendo i numeri di oggi. Alcuni sono venuti a mancare negli ospedali in cui erano stati portati dopo il blitz notturno voluto dall’assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza: nella notte tra il 24 e il 25 aprile la villetta calatina è stata svuotata e tutti gli ospiti rimasti sono stati portati via. Inclusi i due negativi, unici ad avere evitato il coronavirus, che avrebbero dovuto essere portati all’ospedale di Militello in Val di Catania e che, invece, sono finiti in una residenza sanitaria assistenziale.
Il fascicolo che aveva aperto la procura di Caltagirone adesso conta i primi indagati: cinque persone, tra le quali Gaetano La Rosa, infermiere e presidente della cooperativa che gestisce la struttura. Il reato ipotizzato dagli inquirenti è di epidemia colposa, così come cristallizzato del decreto che dispone l’ispezione della struttura e il sequestro probatorio, datato 30 aprile 2020. Il 2 maggio è poi avvenuta l’ispezione dalla quale sarebbero emerse alcune irregolarità nell’edificio: scale antincendio arrugginite, mancanza delle autorizzazioni del personale per le riprese di videosorveglianza interne. Osservazioni alle quali, secondo quanto appreso da questa testata, presto risponderanno gli avvocati.
Intanto, però, la battaglia sulle carte è già iniziata. Come spiegato da MeridioNews lo scorso 29 aprile, non è ancora chiaro se i decessi siano avvenuti per coronavirus. O se, semplicemente, gli anziani fossero Covid-positivi ma morti per altre patologie. Anche questo aspetto dovrà essere chiarito nel corso di indagini che si preannunciano lunghe e complesse. Tra i rilievi formulati dagli ispettori ci sarebbe anche l’assenza di percorsi separati per dividere i pazienti positivi da quelli negativi. I cosiddetti percorsi puliti e sporchi, necessari per evitare la contaminazione, che devono prevedere anche personale dedicato e piani diversi dove alloggiare gli anziani. Più chiaramente: gli infermieri che assistevano i pazienti negativi avrebbero dovuto occuparsi solo di loro, le cui camere avrebbero dovuto trovarsi in un piano diverso, con ingressi differenziati, rispetto ai malati di Covid.
La richiesta di differenziazione sarebbe arrivata verbalmente ai responsabili della struttura. E nel documento di ispezione redatto il 24 aprile, prima del blitz notturno, ci sarebbe scritto che i percorsi in effetti erano stati creati. Un punto sul quale si giocherà probabilmente parte della difesa. Assieme ai presunti ritardi nell’esecuzione dei tamponi a tappeto su personale e anziani una volta scoperta la possibilità che una dipendente fosse positiva, poiché il marito – infermiere all’ospedale di Caltagirone – era risultato contagiato. Era il 4 aprile. Il 7 viene richiesta l’esecuzione dei test, che viene effettuata l’11. I risultati arrivano il 20. Ma ormai il virus aveva già seguito la sua strada.
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