Enna, sempre tutto esaurito al teatro Garibaldi Il direttore artistico: «Tutelare compagnie giovani»

«È il teatro in cui sono nato e cresciuto». Mario Incudine, cantautore folk, nel teatro Garibaldi di Enna, la sua città, ci credeva. Ci ha creduto quando, lo scorso giugno, il sindaco del Comune ennese gli ha chiesto di diventarne il direttore artistico. E ha continuato a crederci nel corso dell’estate, quando ha impostato la stagione teatrale 2014/2015. E adesso che su 310 posti ci sono 300 abbonati e la sala sempre piena, può esprimere la sua soddisfazione: «Il numero di abbonati si è duplicato rispetto agli anni precedenti». Il teatro Garibaldi era rimasto chiuso per 14 anni, finché non ne erano stati riaperti i battenti, quattro anni fa: «Ma non c’era una programmazione vera, sono stato il primo direttore artistico di sempre». E sul palco che gestisce ha portato «il meglio che c’è, dai grandi nomi alle più talentuose  piccole realtà che operano sul territorio». Che poi sono quelle che, secondo lui, il governo nazionale dovrebbe tutelare.

Per uno come lui, che da anni ruota attorno al mondo della musica e del teatro (anche nel ruolo di attore), «organizzare la stagione teatrale è significato anche chiamare degli amici: con molti artisti straordinari ho dei rapporti personali, ho chiesto loro di esserci e hanno accettato con grande piacere. Con i musicisti, per ovvi motivi, è stata una chiamata diretta: abbiamo ottenuto il migliore risultato immaginabile con il minore sforzo possibile». E il pubblico, che riempie ogni poltrona della sala Garibaldi, sembra ringraziare. Emma Dante, Lina Wertmuller, Moni Ovadia, le sorelle Marinetti, Vincenzo Pirrotta, Sergio Rubini: in tantissimi sono accorsi per «la stagione più vicina alle stelle». «Per la prossima stagione dovremo pensare di fare il doppio turno, perché quest’anno c’è un sacco di gente che è rimasta fuori», racconta Mario Incudine. Un caso più unico che raro. Un successo confermato dal fatto che «anche le pièce fuori abbonamento fanno sempre almeno 200, 250 presenze», aggiunge. E non è poco se si considera che in abbonamento ci sono 22 spettacoli, «inseriti all’interno di un cartellone variegato: ci sono gli show cooking del Teatro del gusto in cui grandi chef si raccontano sul palco mentre cucinano, e alla fine quattro spettatori vengono estratti per assaggiare; c’è Carta bianca, una rubrica in cui gli artisti salgono sul palco e parlano senza copione, a ruota libera, di quello che preferiscono».

Una ventata di aria fresca per il capoluogo ennese: «La nostra è una città piccola, di montagna: stare senza teatro è come stare senza linfa vitale. In più, abbiamo gli studenti dell’università». I residenti di Enna, secondo il neo-direttore artistico, avevano «fame di cultura». Per questo il fil rouge che lega tutti gli spettacoli della stagione è «l’esistenza che è anche resistenza». Come la sua città è al centro della Sicilia, così «il teatro deve tornare il centro della vita degli ennesi». Poi, aggiunge Incudine sorridendo: «Il teatro è bello, è proprio una bomboniera». Per mostrarlo a tutti, è aperto anche quando non ci sono gli spettacoli, una sorta di «salotto» in cui passare il tempo, seduti su una poltrona di velluto rosso, vicini a un palcoscenico. E a chi gli chiede se tutte queste attività servano ad accaparrarsi qualcosa dei fondi ministeriali previsti dal decreto legge Franceschini, che abolisce i teatri stabili e istituisce i teatri di rilevante interesse culturale (Tric) e i teatri nazionali, Mario Incudine risponde: «Noi siamo un teatro comunale, siamo esclusi a priori dai finanziamenti». 

«Io penso che un ministero o un assessorato o chiunque possa decidere debbano dare a un teatro la possibilità di vivere», dice. Un ente culturale «non è un’azienda: ci sono le maestranze e i nuovi progetti a cui pensare». Aiutare le istituzioni culturali, spiega l’artista, non significa soltanto dare finanziamenti. È anche «offrire visibilità, soprattutto ai teatri piccoli, che hanno bisogno di farsi conoscere per dimostrare quello che sanno fare. Ci sono realtà straordinarie – penso al teatro del Canovaccio o a XXI in scena a Catania, o al teatro delle Balate a Palermo. Fanno cose splendide, servono misure ad hoc pensate per posti incredibili come questi». Serve, soprattutto, che gli amministratori li scoprano: «Ministri e assessori scendano per strada e vadano a scoprire questi giovani che i soldi ce li mettono di tasca e qui passano inosservati e se ne vanno all’estero per vincere i premi». Accanto alle realtà nascenti, però, ci sono anche quelle affermate, che non dormono sonni tranquilli: «Come si può dimenticare che il teatro stabile di Catania sia uno dei più antichi d’Italia? Come si può non tenere conto che è il teatro di Turi Ferro? E come si può pensare di fermare il percorso di rifioritura del teatro Biondo di Palermo? I numeri questo non lo spiegano».

Luisa Santangelo

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