Emma chiama Eduardo, il pubblico risponde

di Gabriele Bonafede

Nel raccontare la famiglia, la famiglia della città-sorella a Palermo che è  Napoli, la famiglia popolare, la famiglia italiana e nel Mezzogiorno, il Maestro è lui: Eduardo. Tutti lo sappiamo. Di più, la nostra generazione ha fatto pane-e-Eduardo da bambini, anche in TV e non solo per chi andava o creava a teatro.

Emma Dante e Elena Cotta in “Via Castellana Bandiera”

Tanto è cambiato, da allora. E parlare della famiglia come Emma Dante propone con il suo Le sorelle Macaluso, ma anche con il film Via Castellana Bandiera e gran parte della sua poetica nella “Trilogia della famiglia”, significa confrontarsi anche con questa immensa eredità.  Certo, con tutto ciò che è cambiato, nel frattempo, grazie anche alla Dante e a quella che ormai si può definire una “scuola del Sud”, se non una scuola siciliana, con o senza Costa occidentale o orientale che sia.

A ben guardare, significa sviluppare nel linguaggio, nella scena e nel sociale, ciò che Eduardo ci ha lasciato tanto tempo fa nel cuore e nell’anima: la Dante, anche se sembrerebbe strano dirlo oggi per le distanze tecniche evidenti e per i decenni di teatro che sono nel frattempo intercorsi, lo fa. E forse lo ha sempre fatto, checché se ne dica.  Così l’anima di Eduardo aleggia felice nel percorso logico, schietto, pregno di carisma e comunicazione che la Dante crea con il suo gruppo di teatranti in movimento ne Le sorelle Macaluso.

Foto: Emma Dante – Le sorelle Macaluso | 2014 © Guido Mencari www.gmencari.com

Con certa evoluzione linguistica e attoriale, movimentata, fisica, danzante e appassionante, Le sorelle Macaluso raccontano i pezzi fondamentali della vita. Raccontano il confronto che nasce, come in tutti noi, nei rapporti familiari, ovvero il cuore della cellula di base nell’essere umano: l’amore, la morte, la colpa, la felicità e la disperazione, la crescita come l’alienazione sociale, il dramma del momento storico e personale. Quest’ultimo non dissimile, se vogliamo vedere sotto la pelle della realtà, da quello vissuto in altri tempi di crisi sociale ed economica: quelli di Eduardo. E che si ripresentano ancora più forti, oggi, nell’orizzonte mediterraneo, soprattutto nelle metropoli più rappresentative in Italia: Napoli e Palermo. Ambedue ricadute nella marginalizzazione economica e sociale degli anni ’50 del Novecento, con nuovi bassi e nuovi catoi, con nuove emigrazioni e disperazioni familiari sempre più estese.

Foto di Carmine Maringola tratta da www.teatrostabilenapoli.it

È  d’uopo, per la Dante. La famiglia popolare in Le sorelle Macaluso sta tra la vita e la morte, o muru cu muru c’u spitali (muro con muro con l’ospedale, vicino al disagio e alla morte) come si dice a Palermo, riverberando sul palco i ricordi di altre opere di Emma: mPalermo, Carnezzeria e Vita Mia, già goduti da pubblico e critica alcuni anni orsono.

Forse non a caso Le sorelle Macaluso è andato in scena per la prima volta ieri sera al Teatro Biondo, dopo essere stato in prima assoluta a Napoli prima ancora che a Palermo. Omaggio felice alle due città più belle e contraddittorie del nostro Paese, la pièce stampa nell’immaginario collettivo uno spaccato intergenerazionale partendo in punta di piedi, con una poetica che pensavamo tradita nell’homo-economicus di oggi, ma mai nella regista palermitana: la ballerina danza, si esercita, scoprendo e affrontando le difficoltà del vivere, sola, nel silenzio. Alessandra Fazzino “danza a cappella”, senza musica, unica nella luce e nel buio del vivere giornaliero, e apre la scena nel teatro continuo della vita.

Non c’è scenografia, e non ce ne sarà per tutta la rappresentazione, se non quella della luce e della penombra, se non quella dei costumi umani come processi simbolici, se non quella degli “attrezzi pupari” e del movimento dei corpi.

Sorelle Macaluso. Foto di Clarissa Cappellani

Matura, la Dante, anche quel poco che c’era da maturare nel suo teatro: basta un’ora a dire la sua, a far coprire d’applausi ed  entusiasmo gli attori, tutti spettacolari nell’incalzante ritmo “dantesco”. Ma tra i quali, non me ne vogliano le altre e gli altri tutti eccellenti, spicca Serena Barone (Lia) a dare quell’accento di profonda “palermitanitudine” voluto da regia e pubblico assieme. Come sul palco, la platea vive la pièce ridendo e tremando, godendo e soffrendo insieme alle sorelle Macaluso, tra le quali Lia rappresenta il più felice dei trait d’union, esaltando le incredibili doti di versatilità, tempistica e coinvolgimento di un’attrice, la Barone, non ancora celebrata come dovrebbe dal grande schermo italiano.

Un filo sottile, una sottile voce, unisce dunque Emma a Eduardo: quella linfa antica, anche ribaltata, giustamente stravolta e cresciuta, che è portata su attraverso tronco e foglie vigorose di un teatro del Sud  e delle coste occidentali e orientali del Mediterraneo. Quel Mediterraneo, questo Mediterraneo,  che ormai fa sentire bene la propria voce in teatro e nel cinema, ma non è ascoltato, ed è anzi obliterato e calpestato da sorde e impazzite potenze terrene.

 

Le sorelle Macaluso, testo e regia di Emma Dante, con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier, luci di Cristian Zucaro, armature di Gaetano Lo Monaco Celano, sarà in scena al Biondo di Palermo fino al 2 marzo.

Lo spettacolo è una produzione del Teatro Stabile di Napoli, Théâtre National – Bruxelles, Festival d’Avignon, Folkteatern – Göteborg, in collaborazione con la Compagnia Atto Unico/Sud Costa Occidentale ed è stato realizzato con il sostegno del Programma Cultura dell’Unione Europea nell’ambito del progetto Città in scena/Cities on stage.

 

Gabriele Bonafede

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