Elogio dei cannoli (alla faccia della mafia)

Mi capitò di conoscerla partecipando a un forum. Le cose che scriveva mi affascinavano perché avevano anima, trasmettevano emozioni che apparivano piene di dolcezza. Anche lei era una siciliana che viveva fuori dall’isola. Un po’ per gioco e un po’ per malizia le proposi di fare un viaggio con me nel triangolo magico del Mediterraneo e, nel proporglielo, volli mettere alla prova, dolce com’era, le sue conoscenze sulle dolcezze dell’isola: vedrai, ti farò fare un viaggio fantastico. Chiudi gli occhi, apri il cuore alla fantasia e le papille gustative a sensazioni niente male. Cominceremo proprio da qui, dalla punta dello stivale. Spingi ora lo sguardo oltre lo stretto e avrai una sorpresa. Cosa vedi? Non ti sembra di vedere al di là della falce dei gruppi di montagnole bianche alternate ad altre di colore marrone? Varchiamo in pochi minuti quel mitico tratto di mare sul ponte della legalità e dello sviluppo ed è quella goduria bicolore che ci accoglie con le sue tentazioni foriere di dubbi intriganti.

Sono dubbi sublimi. Quale gustare subito e quale dopo? Direi per prima quella più delicata, per lasciare alle papille gustative la capacità di apprezzare, dopo, quell’altra, più decisa e appagante. Prima di partire verso sud allunghiamo una mano verso le sette sorelle, che ci osservano, vaghe, fra i magici vapori dell’estate, per trarne alcune brocche di delizioso nettare dorato da gustare subito. Lasciato poi il morbido sito bicromatico e bitorzoluto, viaggeremo lungo un mare che talvolta assume lo stesso colore della delizia liquida che abbiamo appena bevuto, ma più spesso
è azzurro quasi come i tuoi occhi.

La nostra meta è adagiata su una sicula grattugia ricoperta di barocco e all’arrivo troveremo ad accoglierci una delle due regine dell’isola, quella bianca, orientale, ornata di piccole gioie: smeraldi, rubini, ambre. Gustala pure con gli occhi all’inizio, ci sarà tempo per celebrare fino in fondo la comunione del piacere. Prima però ti consiglio di mandar giù un paio di questi bastoncini di riso fritto, dopo averli intinti nella dolcezza fluida dell’amore delle api. Vedrai che delizia. Torneremo verso la regina, ma intanto facciamo una corsa col trenino del vulcano fino ai biscotti verdi nei pressi di un ciclope. Assaggiane qualcuno e fanne assaggiare anche a me.

Basta… Basta. È ora di tornare verso la regina. Due fette, non troppo grandi però, una per te ed una per me. Ma è meglio non berci nulla sopra: si tratta di una regina… astemia. Dopo averla gustata, comunque, per un po’ nulla potrà sembrarci dolce, visto che la regina è il dolce per eccellenza. E ora dormiamo un po’ e che i tuoi sogni siano dolci. È l’alba e un sole rossastro e tiepido fa capolino ancora una volta dal mare d’oriente; se lo prendessimo e lo mettessimo in una tazza con un cucchiaio di zucchero potremmo prepararci un “uovo sbattuto” per colazione. Ma no! Lasciamo perdere, troveremo certamente qualcosa di meglio. Intanto il carro di fuoco, lento ma deciso, s’inoltra in un cielo che da scuro assume per magia i colori di certi occhi femminili carichi di fascino normanno.

La magia diventa calore che arriva coi raggi dorati. E quel caldo ci ristora dopo una notte stranamente fresca su questo treno che va a sud. Basterebbe un’ora per arrivare alla nostra meta. Ma il treno, per darci un asilo tranquillo e cullarci maliziosamente, ha rallentato molto la sua andatura. Prima era estate, ma adesso è il 13 dicembre. Sai che ti dico? Faremo colazione appena arrivati alla nuova meta, nell’antica palude sicula. Ci tufferemo in quella delizia di grano, crema di latte e cacao, con zucca candita e cannella. Solo per quello, in fondo, stiamo andando fin laggiù. L’ho gustata solo da bambino. Ma ho un vago ricordo di una dolcezza temperata. Ci berremo sopra quel rosolio di cannella che ci hanno regalato sul trenino del vulcano.

E ora in macchina, verso sud-ovest fino a trovar dove cibarci della bianca crema di mandorle. Non l’ho ancora mai provata, ma lo faremo insieme. Adesso andremo verso la mia terra d’origine, verso ovest, mantenendo alla nostra sinistra il mar d’Africa. La prima sosta la faremo in quel paese dal buffo nome che sembra alludere a due tipi di animali domestici, citato in tutta la penisola per indicare un posto sperduto. Lì troveremo le miniature, squisite però, del secondo dei due dolci siciliani più conosciuti universalmente. La scorza piena di ricotta è speciale, vedrai e gusterai, coperta di mandorle, miele ed altre bontà. Anche solo per quello la sosta è doverosa. Mangiamone un paio a testa, ma attenta!

A breve distanza da qui c’è il paese dei miei genitori, un’araba “sorgente”. Lì dobbiamo arrivare per Pasqua con un buon appetito e pronti ad una delizia indescrivibile, sotto forma del simbolo stesso della festa religiosa. Sarà pasta di mandorla, farcita di pan di Spagna, cioccolato, pistacchio… Mamma mia!!! Non ne mangiare troppo però! Può risultare pesante. Mentre una sottile fettina può darti un’idea della mensa del paradiso islamico per il quale, ci giurerei, deve essere stata a suo tempo pensata la composizione di questo dolce a quattro zampe. Solo la forma infatti può dirsi cristiana. La sostanza è godimento puro, non adatto a pensieri casti e spirituali… Una fettina di quell’animale è un preliminare sublime all’eros più sensuale e felice. Provare per credere!

Ora conviene allungare molto le nostre mani fino ad accarezzare la “Figlia del Vento”, per quanto lontana possa essere in mezzo a quel mare, verso sud-ovest. Chissà che alle mani non ci rimanga attaccata una preziosa bottiglia di spemuta di uva moscata e passita. Quel nettare biondo ambrato sarebbe un ottimo accompagnamento per il pasto sensuale che abbiamo fatto, e un modo per iniziare una lunga notte rovente, ricca forse di dolcezze d’altro tipo. Non è possibile, d’altra parte, finire diversamente una giornata così! Sveglia! Si riparte per il capoluogo, antica città greca dove si costruiva come se si dovesse vivere migliaia di anni e si mangiava come se si dovesse morire l’indomani. Faremo colazione con la sontuosa specialità locale. La ricotta in questo caso sta dentro una grossa cialda, coperta di bontà, da cui la specialità prende nome. E’ poco noto questo dolce, peccato! Ma con una regione così ricca di specialità occorre sgomitare non poco per farsi un nome. Proseguiamo verso la punta più occidentale di questa grande pasticceria a forma di triangolo. Sulla punta, là dove insieme agli Elimi si apprezza l’idea dell’infinito, dobbiamo fare omaggio ad alcune delizie di clausura. Lì il piacere e lo spirito vanno d’accordo meravigliosamente. Ed ora verso est, verso la punica capitale tutta porto. Ma prima passiamo da quell’insediamento balcanico cinquecentesco. Ecco! È lì che il secondo dolce siciliano raggiunge la perfezione erotica. La sua forma fallica, ripiena di squisita ricotta, invita a piaceri un po’ ambigui, per non dire sconci. Ma quando ci vuole… ci vuole! Sia quel che sia! Non ci si può perdere un’occasione così! Non credi? Questo sì che é un vero scettro da re! E dai… non farti scrupoli. Lasciati possedere da quel piacere. Si vive una sola volta. Ti vergogni un po? Credimi: non è il caso!

E ora… o in quella città o all’inferno! Dicono che però la vera differenza fra le due località stia proprio nelle pasticcerie. E sì! Infatti cosa sarebbe la capitale dell’isola senza le pasticcerie? Probabilmente un inferno. Ma fortunatamente le pasticcerie ci sono. E allora tuffiamoci in quell’orgia di sapori: torroni dal classico nome arabo, frutta che prende il nome da un famoso monastero, e poi nuovamente la regina! La numero uno! Ma ricoperta questa volta da un delicato mantello verde, impreziosito da sinuosi ornamenti di cedrata e zuccata… Mamma mia! La regina verde occidentale è un piacere che commuove, più che la regina bianca orientale. Occorre ammetterlo.

E’ finita o ce n’è ancora? E se uno soffre di diabete come fa? Se ne vada in Alto Adige! Cos’altro posso dirgli? Per noi comunque la dolcezza non è ancora finita: faremo infatti una puntata verso il centro dell’isola dolce. C’è un paesetto, patria di Diodoro Siculo, in cui ti farò gustare quelle delizie a forma di mezzaluna dentellata, ripiene di ricotta e cioccolato… A questo punto, trascurando i macabri dolci da rosicchiare il due novembre, le ciambelle rotonde ripiene di fichi, e ancora mille altre delizie, torniamo sotto il vulcano per gustare la figlia del sorbetto, a base di succosi frutti di bosco, accompagnata da una fragrante pagnottina dolce che ci sorride allettante in francese, dall’alto del suo panciuto bitorzolo. Termineremo qui il nostro viaggio. Forse ci vorrebbe un amaro a questo punto, magari alle erbe del vulcano… Ma io preferirei gustare un’ultima e più grande dolcezza. E sicuramente immagini quale.

Tommaso M. Patti

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